PIR, tre buoni motivi per sottoscriverli
Apprezzati dai risparmiatori italiani soprattutto per i vantaggi fiscali che offrono, dalla loro introduzione, avvenuta nel 2017, i Piani Individuali di Risparmio si sono imposti come un interessante strumento di investimento: nel corso dell’anno passato, hanno visto confluire su di loro circa 11 miliardi di euro di risparmi, ovvero l’11% della raccolta netta dell’intera industria italiana del risparmio gestito nel corso dei 12 mesi. Un ottimo riscontro. Ma vediamo perché queste cifre hanno un senso e, soprattutto, perché è una buona idea investire nei PIR.
Aliquota pari a zero
Il primo motivo che rende i PIR una soluzione interessante lo abbiamo già citato: è il beneficio fiscale. Un’agevolazione che consiste nell’esenzione dalla tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria derivanti dagli investimenti effettuati nel PIR. Sono esclusi invece, lo ricordiamo, i redditi derivanti dal possesso di partecipazioni qualificate e, più in generale, quelli che concorrono a formare il reddito complessivo dell’investitore. Comunque non male, se pensiamo che per i titoli di Stato italiani (BTp, Bot, Cct) ed equiparati, per i titoli emessi da Paesi white list (e cioè che non hanno macchie sul loro pedigree fiscale) e per i buoni fruttiferi postali della Cassa Depositi e Prestiti l’aliquota è del 12,5%, mentre sale al 20% per i fondi di previdenza complementare e per i Piani Individuali Pensionistici (PIP) e tranne altra qualche piccola eccezione arriva al 26% per conti correnti e conti deposito, fondi comuni e gestioni patrimoniali, obbligazioni bancarie e societarie, ETF, azioni sia italiane che estere, polizze unit linked e index linked, commodities, Forex, opzioni, fondi pensione dei professionisti iscritti a casse previdenziali separate e peer-to-peer lending.
Sostegno alle imprese e diversificazione
Il secondo buon motivo in realtà risiede nelle condizioni per beneficiare dell’agevolazione fiscale. Al fine di ottenerla, infatti, c’è una serie di vincoli da rispettare relativi alla composizione del patrimonio del PIR e al periodo di detenzione degli strumenti finanziari detenuti nel Piano stesso. Nel dettaglio – lo ricordiamo – un ammontare pari ad almeno il 70% del valore complessivo degli strumenti finanziari detenuti nel PIR va investito in strumenti finanziari emessi o stipulati con imprese residenti in Italia o in Stati membri dell’UE o in Stati aderenti allo spazio economico europeo, ma aventi stabile organizzazione in Italia. Di questo 70%, almeno il 30% (che equivale al 21% del valore complessivo degli investimenti del PIR) deve essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell’indice Ftse MIB di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati. Vincolo, questo, che ha lo scopo di canalizzare il risparmio delle famiglie verso le imprese italiane di dimensioni più contenute, al fine di favorirne il processo di crescita e sviluppo. Il restante 30% può essere investito in qualsiasi strumento finanziario.
Ma attenzione: sono previsti precisi limiti alla concentrazione. Il patrimonio del PIR, infatti, non può essere investito per una quota superiore al 10% del suo valore totale in strumenti finanziari emessi o stipulati con lo stesso emittente oppure con un’altra società appartenente allo stesso gruppo o in depositi e conti correnti. Un ulteriore vincolo che ha l’obiettivo di garantire un’adeguata diversificazione del portafoglio.
Investire un po’ alla volta
Il terzo motivo rappresenta un po’ il punto in comune tra un PIR e un Piano di Accumulo: i Piani Individuali di Risparmio prevedono infatti la possibilità di investire un po’ alla volta, per la precisione un massimo di 30 mila euro all’anno, e comunque entro il limite complessivo dei 150 mila euro. Questo consente di entrare nel mercato un passo alla volta e di arginare le ansie che scattano quando si investe una somma tutta d’un colpo e poi, com’è fisiologico e tutt’altro che raro che succeda, i mercati hanno un momento di debolezza e le quotazioni calano.
Inoltre, il vincolo di detenzione di cinque anni, in base al quale l’agevolazione fiscale scatta se si detiene il Piano per almeno un quinquennio, non solo impedisce impieghi di tipo speculativo garantendo al contempo alle imprese la possibilità di contare sui capitali ricevuti in modo stabile per un periodo di tempo medio/lungo, ma abitua il risparmiatore a ragionare secondo un’ottica di medio/lungo termine. Anche qui, insegnandogli ad accumulare guardando oltre le battute d’arresto più o meno momentanee dei mercati.