Il punto sull'economia globale
Come di consueto, il meeting di Jackson Hole sancisce la fine della pausa estiva: è infatti il luogo e il momento in cui tutti i banchieri centrali si danno appuntamento per discutere dell’economia globale e dei prossimi passi da compiere.
Sul finire di agosto si ritorna a discutere di economia e crescita a Jackson Hole: le vacanze finiscono anche per i big dell’economia mondiale che, come ogni anno, si riuniscono tra le montagne del Wyoming per fare il punto della situazione. Dove siamo arrivati? Che cosa ci aspetta nei prossimi mesi? Tante domande e poche risposte, per ora.
Negli ultimi anni, l’appuntamento di Jackson Hole è stato il palcoscenico di interventi decisivi per le sorti dell’economia globale. A tal proposito vale la pena rammentare il discorso di Ben Bernanke del 2010, che ha dato il via alla stagione delle politiche ultra-accomodanti e il lancio del Quantitative Easing (QE) della BCE nel 2014.
Alla vigilia del meeting di quest’anno le aspettative erano molto alte; gli analisti si aspettavano grandi news su almeno tre fronti:
• inflazione - l’economia cresce, la disoccupazione è ai minimi storici, ma l’inflazione USA resta ben al di sotto dell’obiettivo del 2,0%, e nessuno tra i membri della FED sembra avere le idee chiare;
• fine del QE - la BCE non ha ancora chiarito quando intende terminare il Quantitative Easing;
• le prossime mosse della BOJ - la banca centrale giapponese è l’unica grande banca centrale a non aver avviato il processo di normalizzazione della politica monetaria e tutti si domandano fino a quando può durare.
Ma le risposte sperate non sono arrivate e, in generale, si è parlato poco concretamente del futuro della politica monetaria.
Gli argomenti affrontati
Tra i temi al centro dell’attenzione delle banche centrali ci sono l’inflazione, gli effetti distorsivi delle politiche monetarie e la solidità della crescita economica.
Nel meeting di Jackson Hole si è parlato dell’impatto della tecnologia sul mondo del lavoro, della diseguaglianza di reddito e del ruolo della politica fiscale, definita da Alan Auerbach e Yuriy Gorodnichenko, professori dell’università statunitense di Berkley, come uno strumento di lotta in tempi di recessione. Nel loro paper, i due autori concordano che “uno stimolo fiscale in un’economia debole può contribuire a migliorare la sostenibilità” del debito pubblico e suggeriscono che “i mercati possono considerare lo stimolo fiscale come un modo non solo per accelerare il passo dell’economia, ma anche per ridurre i rischi associati ad una fase recessiva prolungata”.
Parlando di Brexit, invece, il paper di John Van Reenen, professore del Massachusetts Institute of Technology, ha sottolineato lo stato caotico in cui versa in questo momento il Regno Unito. Secondo il professore, infatti, la mancata maggioranza del governo conservatore e l’assenza d’una leadership forte rendono difficili le negoziazioni per l’uscita dall’UE. Tra i problemi della Gran Bretagna, Van Reenen evidenzia la cattiva distribuzione dei frutti della crescita economica che la globalizzazione ha portato negli ultimi quattro decenni.
Tra gli altri interventi vi è stato anche quello di Menzie D.Chinn, dell’Università del Wisconsin. Nel suo paper si è discusso della natura degli squilibri mondiali e di come bilanciare la crescita economica globale: il suggerimento è che i legislatori, negli USA, dovrebbero concentrarsi sulla politica fiscale nazionale se vogliono ridurre gli squilibri esterni, che tuttavia dipendono in larga parte dallo status del dollaro, ancora considerato tra i beni rifugio per eccellenza. Infatti, i flussi di capitale negli USA sono stati storicamente alimentati dai risparmi di altri Paesi e continuano a pesare sul bilancio della nazione.
Ma il vero cuore del meeting sono stati gli interventi di Mario Draghi e Janet Yellen. La Yellen ha difeso l’operato della FED, soprattutto la riforma Dodd-Frank, a cui va il merito di aver ridimensionato gli eccessi di Wall Street e consolidato il sistema finanziario dopo gli scandali della crisi del 2008. In tema di bilancio della FED, invece, la decisione di ridurne le dimensioni è nota, ma occorre capire se l’operazione di ridimensionamento comincerà il prossimo dicembre oppure all’inizio del 2018. Nel frattempo la fine del mandato per la Presidente Yellen (a gennaio del 2018) è sempre più vicina e non è ancora chiaro chi sarà a guidare la banca centrale statunitense nei prossimi anni.
Mario Draghi ha posto enfasi su come la crescita economica sia tutt’altro che limitata dall’apertura dei mercati e su come abbia invece apportato benefici, mettendo quindi in guardia da eccessive misure protezionistiche. Inoltre, è stato messo in chiaro che il Tapering già intrapreso dalla BCE proseguirà ancora: il QE ha le gambe sempre più corte (ma questa non è una novità).
Insomma, quest’anno Jackson Hole è stato un appuntamento meno entusiasmante del solido, senza colpi di scena e annunci radicali. A questo punto, nei prossimi mesi non ci dovrebbero essere cambi di rotta, siamo solo all’inizio del processo di normalizzazione e le politiche monetarie rimarranno accomodanti ancora a lungo.