13 novembre 2019

Una crisi da ricordare (per evitare di ripetere gli stessi errori)

Pubblicato in: Economia & Mercati

Si racconta che la mattina di giovedì 24 ottobre 1929 Jesse Livermore, una leggenda di quell’epoca, entrò di gran carriera a Wall Street e con piglio deciso e gesti coreografici cominciò a vendere cercando di farsi notare. In quegli anni le contrattazioni erano “alle grida” e Livermore era considerato una specie di guida. Ecco perché gli altri operatori presero il suo atteggiamento come un modello da emulare, con un “domino” di vendite che scatenò il panico. Dai massimi raggiunti, a 350 punti circa, Wall Street iniziò una caduta fino a 200 punti: -40% in poche sedute.


Cosa successe nell’ottobre del 1929?
Quel 24 ottobre sarebbe stato ricordato come il “giovedì nero”, inizio della fine della crescita dei “ruggenti” anni Venti. Le cronache dell’epoca raccontano che il domino in realtà partì da Londra, perché in quel momento era l’Inghilterra il centro del mondo. 

Il tonfo del London Stock Exchange contagiò immediatamente Wall Street, che aprì con un ribasso dell’11%. Pare che in quelle concitate ore di panico un gruppo di banchieri, tra cui i capi di Morgan Bank e Chase National Bank, nel tentativo di fermare l’emorragia, si accordarono per un’immediata iniezione di capitali che sostenesse Wall Street. Un palliativo che durò lo spazio di un weekend: il martedì successivo la pesante ondata di vendite era già ripresa, con un movimento al ribasso ancora più forte e tale da spazzare via dal mercato molti protagonisti, oltre che i risparmi di gran parte della popolazione.

Il crollo di Borsa portò alla Grande Depressione, che significò:
• 15 milioni di posti di lavoro persi;
• un tasso di disoccupazione che toccò il 30%;
• produzione industriale che in pochi anni cadde di quasi il 40%;
• quasi la metà delle banche americane dell’epoca fallite a pochi anni dalla crisi.

Ecco perché quell’epoca è passata alla storia.


Ma perché la crisi si protrasse?
Gli anni Venti rappresentarono un glorioso periodo di espansione economica, finanziaria, sociale e culturale, che fece fiorire le industrie della moda, del cinema e del benessere. Furono la culla del “consumismo” inteso come fenomeno di massa, che sembrava inarrestabile nella sua corsa trainata da nuove scoperte e invenzioni. Simbolo di quell’epoca fu l’automobile, in particolare il marchio Ford: grazie alla visione di Henry Ford, viene brevettato e realizzato il Model T Ford, l’auto che tutti potevano permettersi di acquistare. I media crebbero rapidamente: giornali, riviste, soprattutto la radio. Fu l’epoca del sensazionalismo e dei primi esperimenti di comunicazione di massa, un po’ come internet oggi. Fu proprio la radio a esasperare il panico, fermo restando che – sia ben chiaro – la colpa fu delle reazioni emotive eccessive. 

Come ogni periodo di crescita, progresso e benessere, anche gli anni Venti portarono eccessi e comportamenti poco virtuosi. Uno di questi, in ambito finanziario, fu il sovrabbondante ricorso alla leva, cui abbiamo assistito anche negli ultimi anni. Nella parte finale degli anni Venti, in particolare, si registrò un eccesso di investimenti, incentivato anche dal credito “facile”. Per frenare gli entusiasmi e perseguire le cattive abitudini, la Fed annunciò un percorso di rialzo dei tassi. Ma le banche risposero con un atteggiamento ostinatamente espansivo. La National City Bank dichiarò: “Sentiamo di avere l’obbligo, superiore a ogni ammonimento della Federal Reserve o di chiunque altro, di evitare ogni crisi pericolosa nel mercato monetario”. Una risposta che ci riporta alla memoria quando Ray Dalio, a capo di Bridgewater, il più grande fondo hedge al mondo, ammonì la Fed di evitare, con un rialzo precipitoso dei tassi, una riedizione degli anni Trenta. 

In effetti, il brusco aumento dei tassi fu una delle cause che scatenarono la crisi e la successiva Grande Depressione, cui si aggiunsero la sconfitta della globalizzazione, la chiusura dei confini e la mancanza di fiducia, che misero il mondo in mano ai regimi autoritari.


Analogie e differenze tra ieri e oggi
Oggi, 90 anni dopo, viviamo un’altra situazione anomala: un mondo di tassi negativi e abbondante liquidità, tale da farci dubitare che le catastrofi possano ripetersi. Fortunatamente, quella dei tassi negativi è un’anomalia circoscritta ad alcune aree del pianeta, in particolare Europa e Giappone. Il motivo? Tali aree, per evitare una Grande Depressione dopo la crisi del 2008, non potendo fare leva sulla politica fiscale (l’Europa in particolare), si sono trovate costrette a esasperare quella monetaria. Altre nazioni, in particolare gli Stati Uniti, grazie all’uso di entrambe le medicine, fiscale e monetaria, sono riuscite a mettere a punto una terapia che ha permesso all’economia di guarire, tanto da arrivare oggi a un tasso di disoccupazione ai minimi storici. Ma l’uso di queste terapie deve essere moderato, proprio come il ritorno all’attività, per così dire, “normale”: niente precipitosi ritocchi al rialzo, ma, come sta facendo la Fed, piccole accelerate inframezzate da qualche frenata.

Dopo la caduta del 1929, i mercati sono riusciti a riprendersi: certo, ci sono voluti 15 anni, ma va detto che c’è stata anche una guerra mondiale di mezzo. E così dopo il 2008: non solo c’è già stato un pieno recupero, ma nel caso di Wall Street siamo addirittura al doppio dei massimi raggiunti prima della Grande Crisi. A dimostrazione di quanto siano eccezionali, almeno per l’economia, i tempi che stiamo vivendo. 

Gli errori del passato vanno però ricordati, per evitare insidiose ripetizioni. Una regola che dovrebbero seguire anche i risparmiatori.


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