
“Animal spirits”: perché parliamo di Orsi e di Tori
Cercando “animal spirits” su Google, la prima a risponderci è – come da un po’ di tempo a questa parte – l’Intelligenza Artificiale. Gli spiriti animali, ci dice, sono “le forze che spingono le persone ad agire, a volte in modo irrazionale”. Facciamo un passo oltre e consultiamo la Treccani . La quale ci ricorda che fu il noto economista John Maynard Keynes a coniare questo modo di dire, per indicare “il complesso di emozioni istintive che guidano il comportamento umano, in generale, e quello imprenditoriale, in particolare”.
E forse, in questo modo, Keynes è stato anche un antesignano della finanza comportamentale. Secondo la Treccani, infatti, “fu il primo a capire che sulla scena delle decisioni economiche, nel mondo dell’industria come in quello della finanza, ci fossero sempre, invisibili, anche gli aspetti umorali della mente umana”.
Di questi aspetti bisogna tener conto più che mai oggi, mentre parliamo di ben altri animali: di “Orsi”, cioè, e non più solo di “Tori”.
Cosa intendiamo quando, riferendoci ai mercati, parliamo di Orsi e di Tori
Quando si parla di mercati Orso e di mercati Toro, ci si riferisce a specifiche fasi del mercato stesso. In particolare:
• le fasi di mercato Orso sono quelle in cui prevalgono i ribassi;
• c’è invece Bull market – o mercato Toro – quando a prevalere sono i rialzi.
Le due fasi sono così chiamate in onore della particolare modalità di attacco dei due massicci mammiferi: mentre l’Orso, con le sue zampate, disegna un arco discendente dall’alto verso il basso, il Toro, con le sue cornate, fa l’esatto contrario. In linea di massima, come spiegavamo in un recente articolo , si ritiene che un certo indice azionario entri in territorio Orso quando il calo rispetto al picco più recente raggiunge e supera il 20%.
Breve annotazione di cronaca: il più recente picco dell’indice statunitense S&P 500 – che è non solo l’indice più importante della Borsa USA, ma anche il punto di riferimento dell’azionario globale – risale al 19 febbraio 2025, quando era sui 6.144 punti: da allora all’8 aprile, è sceso a 4.982 punti circa, con una flessione superiore al 18%. Nello stesso lasso di tempo, il ripiegamento del Nasdaq 100 è stato addirittura del 22%.
Mercato Orso, dunque? Attenendoci alla definizione che abbiamo ricordato poco fa, l’aria che tira è quella, anche se dopo l’8 aprile, con il rinvio dei dazi “reciproci” statunitensi a carico di quasi tutte le aree economiche, c’è stato un qualche recupero. E allora, la domanda è: cosa determina – e in quanto tempo si supera – una fase di mercato Orso?
Cos’è che sancisce l’inizio di una fase Orso sui mercati?
Al di là degli aspetti tecnici, dobbiamo tornare agli “spiriti animali” da cui siamo partiti. Una crisi finanziaria, un periodo di instabilità e di incertezza (anche politica), i timori di una più o meno imminente recessione economica: tutti fattori che possono essere anche strettamente collegati tra loro e che, in ogni caso, alimentano negli investitori la propensione alla cautela e la ricerca di sicurezza.
Giusto per dare un’idea: l’Associazione Americana degli Investitori Individuali (AAII) – che da decenni chiede settimanalmente a ognuno dei suoi membri “tu sei rialzista o ribassista?” – evidenzia come siamo di fronte alla quarta maggior incidenza di ribassisti dal 1987.
Oggi tutti si chiedono: quanto può durare una fase Orso?
Come abbiamo accennato non molto tempo fa , storicamente le fasi Orso tendono a durare meno delle fasi Toro: ciò significa che sul lungo periodo i rialzi sono più frequenti – e più consistenti – dei ribassi complessivi.
Per apprezzare quello che finora, storicamente, è stato un dato di fatto, occorre però avere pazienza ed essere disciplinati negli investimenti: quindi, non disinvestire quando il vento sui mercati accenna a cambiare. Ma questo vuol dire anche un’altra cosa, che è molto importante far capire ai clienti: sui mercati azionari non va sempre tutto bene, ovvio, però, se l’orizzonte temporale è medio-lungo e la tolleranza al rischio è apprezzabile, è bene non escludere l’azionario dal portafoglio di investimento. Anche alla luce dei suoi maggiori ritorni potenziali (che si apprezzano, appunto, in un’ottica di medio e – soprattutto – lungo termine).
Non tutta la volatilità viene per nuocere: come spiegarlo ai clienti?
Innegabilmente, i momenti di volatilità fanno innervosire: ma, ancora, si può ricordare al cliente che un antidoto per affrontarli – e per cogliere le opportunità collegate – c’è, e consiste nel diversificare il portafoglio di investimento, eventualmente con un ingresso sui mercati frazionato nel tempo. La storia finora ci ha insegnato che a distanza di una manciata di anni le stagioni della volatilità lasciano spazio ad altre, ben più positive, stagioni dei mercati. Con il giusto approccio, che ogni consulente può suggerire al suo cliente, anche i periodi come quello attuale possono rivelarsi interessanti.
Quel che conta è mettere da parte gli “spiriti animali” che muovono il singolo investitore e, appunto, affrontare i mercati con il dovuto buon senso e con il giusto metodo.