06 giugno 2023

L’Italia, i mercati e una metafora calcistica che ritorna

Pubblicato in: Economia & Mercati

Dal 17 al 19 maggio, su tutti i quotidiani nazionali – La Gazzetta dello Sport in testa – hanno campeggiato un titolo e un messaggio: il calcio italiano che torna a fiutare il profumo di successo e di coppe. Dopo aver portato due squadre in semifinale di Champions, il sofferto derby di Milano, e aver sfiorato la finale tutta italiana in Europa League, seppur senza i faraonici mezzi di altre nazioni europee il nostro calcio è tornato a primeggiare nel continente, rinverdendo i fasti del passato.
Per quanto qui si parli di economia e investimenti, il calcio non è un argomento fuori tema, e spieghiamo subito perché. Nei 15 anni intercorsi dalla grande crisi finanziaria, tra le tante tappe di una Via Crucis che dai PIGS è passata attraverso lo spauracchio dello spread fino alla Brexit, c’è stato un leit motiv che ha continuato a contraddistinguere lo scenario internazionale: l’economia cresce e le Borse, pur a fasi alternate, continuano a segnare nuovi massimi.


Italia, il Paese con il maggior potenziale economico

In particolare – e qui veniamo al punto della metafora calcistica – vanno messi in evidenza gli ultimi tre anni. Dal Covid – momento nel quale si paventava la caduta in un precipizio senza fondo – l’Italia, che era tra i fanalini di coda per tutti i motivi strutturali che ben conosciamo, è uscita come il Paese con il maggior potenziale economico, esplicitato in tutte le statistiche.
Una piacevole sorpresa, che si arricchisce di una gemma popolare: il calcio. È vero che da anni la nostra nazionale non si qualifica ai Mondiali, ma l’anno successivo alla pandemia ha vinto l’Europeo dopo tanto tempo, e ora i nostri club hanno la possibilità di giocare su tutti i campi d’Europa. E questo non è solo un tema di costume. Il calcio non è solo sport, infatti: è anche cifre, bilanci e statistiche, che possono trainare le voci dell’economia.
In verità, oggi l’Italia non è l’unica nazione a primeggiare nello scatto. C’è anche la Spagna, ma soprattutto e sorprendentemente c’è la Grecia. Proprio le nazioni che più hanno subito la crisi economica oggi sono in testa a tutti i ranking che certificano la crescita.
Insomma, nel 2010, anno al quale risale l’ultimo successo di una squadra italiana in Champions, l’Italia e la Grecia erano fanalini di coda in economia e la Germania primeggiava. Oggi che il calcio italiano rivive quell’ebrezza, la situazione economica in Europa è totalmente capovolta.


Siamo fuori dall’abisso (e non c’è nemmeno più l’austerity)

Recentemente la Grecia è andata alle elezioni, e ci è andata con un tono molto diverso rispetto a quello che avevamo sperimentato nel passato. Oggi non ci sono più i venti contrari del default o del referendum per uscire dall’euro: oggi si va al voto con il vento in poppa e con la spinta dello slogan “Greece’s greatest turnaround”, la più grande svolta della Grecia, come ha titolato a maggio il Financial Times .
Un’inversione a U nel giudizio delle temibili società di rating, con il debito della Grecia che si è lasciato alle spalle il famigerato “default selettivo” (febbraio 2012), al limite del livello più basso. Notizia di questi giorni è che S&P, una delle principali agenzie, ha modificato le prospettive del Paese da “stabili” a “positive”: il prossimo passo è la promozione al rating di tripla B meno.
Non è l’eccellenza, ma è sufficiente per entrare nel club dell’Investiment Grade, uno status che S&P riconosce a soli 70 Paesi nel mondo. Certo, non sono solo luci, rimangono ancora delle ombre, ma siamo comunque in una fase di rinascita.


La fotografia di oggi: gli ultimi sono diventati i primi

Per l’Italia il percorso è molto simile: non ci sono le elezioni, bensì le promozioni. Dopo le numerose revisioni al rialzo del PIL, che oggi vedono un’ulteriore crescita in luogo della recessione più volte in passato annunciata, riceviamo anche i complimenti delle agenzie di rating.
Da Fitch a S&P fino a DBRS, tutte hanno tessuto le lodi alla nostra economia. Moody’s, dal canto suo, ha preferito temporeggiare salvo poi alzare, nel suo “Global Macro Outlook 2023/24”, le stime sulla crescita dell’Italia nel 2023 al +0,8%, rispetto al +0,3% stimato a fine febbraio.
Gli indicatori non mentono: la fiducia si mantiene su buoni livelli, la disoccupazione è in calo strutturale, l’export rimane un grande traino, il turismo conferma che il nostro Paese è la meta più ambita, le banche si dimostrano ben più solide rispetto agli istituti oltre le Alpi. E, soprattutto, i prezzi energetici sono in strutturale fase calante. Soprattutto il gas, il cui valore è ora pari a un decimo rispetto ai livelli assurdi dell’estate scorsa.
In tutto questo quadro roseo c’è una notizia che in questi giorni ha fatto molto scalpore: il calo del PIL della Germania, che ufficializza per il Paese l’entrata in recessione tecnica. È una debolezza lieve, ma stride se confrontata con la crescita di Italia, Grecia e Spagna. Proprio la Germania che più di dieci anni fa troneggiava. Gli ultimi sono diventati i primi e i primi sono diventati ultimi: almeno, questa è la fotografia di oggi.


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