18 settembre 2019

L’estate sta finendo, ma sotto la canicola d’agosto è successo di tutto

Pubblicato in: Economia & Mercati

In estate, e specialmente ad agosto, mentre tutto il mondo della finanza milanese si allontanava da Piazza Affari verso rinomate mete esotiche o di montagna, Enrico Cuccia sapevi sempre dove trovarlo: in via Filodrammatici, a Milano, presso la sede di Mediobanca. Non tanto e non solo perché era uno stakanovista: il vecchio timoniere della finanza italiana sapeva che è agosto il mese in cui è più facile assistere agli avvenimenti che cambiano gli scenari, ed è sempre agosto il mese in cui si costruiscono le grandi operazioni. Facciamo quindi un salto nel passato, nel periodo in cui Mediobanca dominava la scena nazionale: erano gli anni Settanta e Ottanta, anni le cui estati hanno fatto da scenario a eventi internazionali di portata storica. Uno in particolare ha avuto effetti e conseguenze che hanno attraversato il tempo fino ai giorni nostri.



Addio a Bretton Woods: l’inizio di una nuova epoca
Estate 1971. Mentre gli italiani si apprestavano al picnic di Ferragosto, dall’altra parte del pianeta, a Camp David, il presidente USA Richard Nixon annunciava che il governo degli Stati Uniti non avrebbe più rispettato gli accordi di Bretton Woods del 1944, che prevedevano la consegna dell’oro a 35 dollari l’oncia a qualsiasi governo o banca centrale. Si consumò, insomma, l’addio alla convertibilità con l’oro. Da Bretton Woods fino al 15 agosto 1971, il sistema valutario si basava su rapporti di cambio fissi, tutti agganciati al dollaro, che a sua volta era agganciato all’oro. Questo accordo, però, aveva alcune falle: consentiva infatti agli USA un’emissione incontrollata di moneta, con conseguente esportazione di inflazione e un mondo reso progressivamente più povero. La guerra del Vietnam fece aumentare in modo spropositato la spesa pubblica, tanto da mandare in crisi il sistema: troppi dollari in circolazione per sostenere il debito rendevano difficile la successiva conversione in oro, e da qui la decisione storica di Nixon. Il 16 agosto 1971, secondo molti, ha segnato l’inizio dell’instabilità economica e finanziaria, ma anche l’avvio della flessibilità monetaria e degli investimenti: la possibilità dei Quantitative Easing e la volatilità delle Borse, con grandi crolli e rialzi, derivano da quella decisione storica.



Da Hong Kong alla Brexit: di tutto e di più
Nei successivi anni Novanta e Duemila, con l’avvento della globalizzazione, abbiamo vissuto avvenimenti che hanno coinvolto e spesso sconvolto le piazze finanziarie del pianeta. La prima guerra del Golfo contro l’Iraq di Saddam Hussein è cominciata nell’agosto del 1990. La crisi del Bath thailandese, che avrebbe travolto tutto il Sud Est asiatico, si è innescata in estate, così come la crisi russa, con il crollo del rublo che avrebbe macchiato la carriera di due noti premi Nobel per l’economia. Lo stesso vale per la crisi italiana sui BTP e per gli scandali contabili negli Stati Uniti. E sempre in agosto – lo ricordiamo – si sono accesi i primi focolai della crisi subprime. Tra i casi più recenti consumatisi in estate non possiamo certamente dimenticare il referendum in Grecia, nel 2015, e quello sulla Brexit, nel 2016. Ma anche la pseudo-crisi cinese.

Domanda: perché proprio l’estate è il momento finanziariamente “caldo” dell’anno? Perché spesso si accumulano eventi che apparentemente non hanno alcun elemento in comune ma che, nel solco delle molte assenze tra gli operatori e della rarefazione degli scambi, amplificano il panico e ingigantiscono i problemi. 

Ed è esattamente ciò che è accaduto nell’estate 2019, tra proteste a Hong Kong, crisi argentina, rischio recessione per USA e Germania, crisi di governo in Italia, dazi e Brexit. Tutti temporali locali che però possono trasformarsi nella tempesta perfetta, rischiando di allagare le Borse mondiali. Ma un ombrello c’è, ed è pronto a essere aperto.



Un ombrello chiamato politica monetaria
L’intervento delle banche centrali è però da usare con parsimonia, anche perché non tutti i problemi sono così gravi da giustificarlo: ci appaiono così perché spesso vengono ingigantiti dalla tendenza al sensazionalismo dei media. Esempio: la “guerra dei dazi” tra Cina e USA. L’economia statunitense oggi vale circa 21 mila miliardi di dollari, mentre le esportazioni verso la Cina sono a 114 miliardi l’anno e le importazioni a 522 miliardi, rispettivamente lo 0,54% e il 2,1%. Lo racconta, in un’intervista pubblicata su Milano Finanza il 17 agosto 2019, Ed Yardeni, che è stato professore alla Columbia University, capo economista in numerosi gruppi bancari, ma soprattutto membro del Consiglio dei Governatori alla Federal Reserve e del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.

Morale: se dalle parole si passa ai numeri, ecco che improvvisamente il problema si ridimensiona. Rimane però tutto il “rumore di fondo” – annunci, dichiarazioni, esternazioni e tweet vari – che crea incertezza e spaventa i mercati. Vera paura o strumentalizzazione? Stanley Druckenmiller – già braccio operativo nell’operazione che George Soros fece, con successo, contro sterlina e lira italiana – ha lasciato intendere che, dopo l’ennesimo tweet bellicoso del presidente Trump, è lecito aspettarsi una forte riduzione dei tassi d’interesse da parte della Fed.



Con le cattive notizie aumentano le opportunità
Nuovi tagli ai tassi e ulteriori incentivi attraverso il riutilizzo del “bazooka monetario” sono nell’aria già da un pezzo. Persino la Banca Centrale Europea del presidente uscente Mario Draghi, la cui linea accomodante è stata per tante volte ostacolata, oggi subisce la spinta in senso espansivo delle stesse ortodosse istituzioni del Nord Europa, perché questa volta è la Germania a soffrire. E se il cuore inizia a faticare, l’intervento deve essere immediato. 

Quale lezione possiamo trarre da tutto questo? Potrà sembrare un paradosso, ma più aumentano le cattive notizie e più sui mercati crescono le occasioni. Gli strumenti giusti per coglierle esistono, così come i professionisti preparati a individuarli.


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