16 dicembre 2019

Euro ed Europa: vincere tutti, vincere insieme

Pubblicato in: Economia & Mercati

“Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”: parole di Gary Lineker, campione e bomber dell’Inghilterra negli anni Ottanta. Una frase diventata regola. Ma come per ogni regola, ci sono le eccezioni.

Come nel 2012, alla semifinale degli Europei di calcio, quando i tedeschi affrontarono i nostri azzurri. L’Europa politica ed economica era afflitta da una grave crisi, il continente era in recessione, l’austerity mordeva, l’euro era preso di mira dalla speculazione, il progetto europeo rischiava di naufragare e anche qui, come nel calcio, sembrava vincere la Germania. Il ventre molle del sistema erano la Grecia e l’Italia, ma almeno sul campo di calcio gli azzurri ebbero un sussulto d’orgoglio: l’Italia andò in finale.

 

Dall’album dei ricordi del 2012
Il 2012 vede l’economia in recessione, lo spread impennarsi, tasse e tassi alle stelle ed euro in crisi, e al tempo stesso l’inizio della rinascita che porta al goal della vittoria. È l’Italia dei super Mario: il goleador Balotelli, Monti, che fa il difficoltoso lavoro di sutura, quello del mediano, e Draghi, che gioca a Francoforte e il 26 luglio 2012, durante una conferenza alla Global Investment Conference di Londra, pronuncia il discorso del “whatever it takes”

Questo è il goal che super Mario Draghi segna contro la speculazione mondiale, ed è uno dei più grandi meriti di cui deve essere insignito l’ex presidente BCE: aver salvato la moneta unica e mantenuto intatti i buoni propositi di comunione europea, sociale, politica ed economica. “Nei limiti del nostro mandato, la BCE è pronta a fare qualsiasi cosa per salvare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Questo è il punto centrale del discorso che mercati e speculatori compresero al volo, virando subito dai minimi verso un rialzo che a distanza di sette anni dura ancora.

 

Lo spartiacque del “whatever it takes”
Quanto accaduto il 26 luglio 2012 è uno degli spartiacque della storia, un bel salto di qualità rispetto a una BCE che fino a quel momento era stata governata da austeri e difensivi banchieri, prima Duisenberg e poi Trichet, che non hanno dimostrato alcuna flessibilità nemmeno nei momenti d’emergenza. Draghi esprime quel colpo di genio che in certi momenti è necessario per uscire dall’impasse. Negli Stati Uniti c’è un detto considerato Vangelo: “never fight the Fed”, mai andare contro la Fed. Dal 26 luglio ciò vale anche per la BCE di Draghi: un istituto non più ancorato esclusivamente a un atteggiamento difensivo (contenere l’inflazione), ma anche in attacco, per stimolare la crescita.

 

Dove sarebbero finiti l’Europa e l’euro senza Draghi?
“La nomina di Mario Draghi alla BCE è un riconoscimento alle sue doti professionali, ma consentitemi di dire è anche un successo italiano, del nostro governo e del nostro lavoro e sottolinea il ruolo importante che abbiamo in Europa”: così nel giugno del 2011 Silvio Berlusconi commentava la fresca nomina di Draghi, fortemente voluta dal governo italiano di cui Berlusconi era allora primo ministro. E chi l’avrebbe detto che proprio Berlusconi, a quei tempi più volte deriso (ricordate la coppia Merkel-Sarkozy?), avrebbe fatto la scelta più lungimirante? 

Che Draghi avesse una certa passione per l’euro lo si era già capito negli anni Novanta, quando il governo Prodi lo mise a capo di una speciale commissione dedicata alla valorizzazione e privatizzazione delle partecipazioni di Stato. Li chiamavano i “Ciampi Boys” - il Financial Times arrivò a definirlo “dream team” - dal nome dell’allora ministro dell’Economia Carlo Azeglio Ciampi.  Lo scopo era convincere i tedeschi per entrare nel club esclusivo della moneta unica. Qualche anno fa l’Economist mise in prima pagina un allarme sulle banche centrali che, a detta del giornale, avevano esaurito le munizioni. Niente di più sbagliato: Draghi ha più volte fatto capire che la cosiddetta “cassetta degli attrezzi” è sempre aperta e pronta all’uso. E finora il mercato gli ha dato credito e fiducia.

 

Non sono mancati le critiche e gli attacchi
La prima critica è legata al mancato raggiungimento dell’obiettivo BCE, l’inflazione al 2%, battaglia tuttora in corso; la seconda è sui tassi d’interesse che si mantengono su livelli negativi, cosa che continua a penalizzare la ricerca di rendimenti e scalfisce gli investimenti e il capitale.

Ma Draghi, nel suo discorso d’addio, ha detto che i miglioramenti dell’economia hanno più che compensato gli effetti indesiderati dei tassi negativi. L’esperimento dei tassi sotto zero deve ritenersi eccezionale e straordinario, effettuato con l’intento di “comprare” tempo, affinché l’economia mondiale possa assestarsi su un cammino positivo e il testimone passi finalmente alla politica fiscale e di bilancio. Tocca agli Stati riprendersi la responsabilità di guidare la crescita: Draghi negli ultimi mesi del suo mandato l’ha ripetuto più volte, consapevole che non si può stampare moneta in eterno. Un tema, quello della responsabilità delle politiche di bilancio, ripreso da Christine Lagarde, nuovo presidente BCE.

 

Ora il testimone è nelle mani della Lagarde
Nel suo discorso di debutto, Lagarde ha citato San Francesco: “Inizia facendo ciò che è necessario, quindi fai ciò che è possibile e all’improvviso stai facendo ciò che è impossibile”. Destinatario la Germania, che dovrebbe finalmente iniziare a essere generosa con i cugini europei. Durante la crisi del 2012 circolava un memorandum del governo tedesco che quantificava l’impatto sull’economia dello smembramento dell’euro.

Le conclusioni erano preoccupanti: caduta del PIL del 10% e risalita dei disoccupati verso i 5 milioni. Anche la Germania ha quindi interesse a sostenere crescita e unione monetaria. “La politica monetaria raggiungerebbe i suoi obiettivi più velocemente e con minori effetti collaterali se fosse accompagnata da altre politiche”: con queste parole, la Lagarde raccoglie il testimone di Draghi, testimone che a livello economico deve passare dalla politica monetaria a quella di bilancio. Così potremo vivere la seconda fase della crescita, quella che coinvolgerà coralmente economia reale e finanza. Il modo migliore per gratificare i rendimenti e la crescita dei prezzi, dando maggiore sviluppo al capitale di rischio.


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