L’estate 2025 non è ancora finita e già si parla di caldo record, con il CNR che ha eletto il mese di giugno come il più caldo in Italia dall’ondata di calore del 2003. Le temperature bollenti – che hanno interessato tutta l’Europa e parte del Nord America – hanno riacceso inevitabilmente un faro sul tema del cambiamento climatico, ultimamente lasciato un po’ in disparte dall’opinione pubblica, per svariati motivi.
Naturalmente, un’ondata di calore in piena estate non è necessariamente un campanello d’allarme: “d’estate fa caldo, ha sempre fatto caldo”, direbbero gli scettici del cambiamento climatico. Verissimo, come è vero che un po’ di neve in inverno non significa affatto che il riscaldamento globale sia soltanto una bufala.
Eventi estremi sempre meno rari
Il problema sta nella frequenza e nell’intensità sempre maggiore con cui si stanno verificando eventi meteorologici estremi. Una frequenza e un’intensità destinate ad aumentare nei prossimi anni, se non saranno messe in atto misure volte a rallentare il riscaldamento globale. Già oggi possiamo toccare con mano gli effetti del caldo “anomalo”: ne sono un assaggio gli incendi su vaste aree dei Paesi mediterranei, il picco di accessi nei pronto soccorso a causa di colpi di calore, i blackout innescati da un utilizzo massivo dei condizionatori nel tentativo di abbassare la temperatura percepita.
E se questo è quel che succede oggi, che siamo “soltanto” a circa 1,3 gradi Celsius al di sopra dei livelli preindustriali, possiamo solo immaginare l’impatto di un aumento della temperatura globale oltre i 3 gradi Celsius, che è esattamente il livello verso cui ci stiamo dirigendo. Già un aumento di 2 gradi Celsius – scrive Bloomberg citando il gruppo di ricerca no-profit World Weather Attribution – trasformerebbe le ondate di calore oggi osservabili una volta in un millennio in eventi che si verificano ogni cinque o dieci anni.
Insomma, il tema del cambiamento climatico è più che mai attuale, nonostante ultimamente, per ragioni politiche, sia in parte uscito dal raggio di interesse di Paesi importanti (uno su tutti gli Stati Uniti del presidente Donald Trump).
Cosa si può fare, nel concreto?
La presa di coscienza, almeno in Italia, ha fatto dei passi avanti e, nonostante battute d’arresto tanto fisiologiche quanto temporanee, si può dire che oggi c’è una certa consapevolezza dei rischi legati al clima e dell’urgenza di correre ai ripari. Ma cosa possono fare, nel concreto, i singoli individui? Al netto di piccoli gesti quotidiani, come non far andare l’acqua mentre ci si lava i denti o fare attenzione a non lasciare le luci accese, si può cercare di fare davvero la differenza indirizzando i risparmi privati verso la lotta al riscaldamento globale e, più in generale, a favore della sostenibilità, investendo in aziende attente ai criteri ESG (ambientali, sociali e di governance).
Investimenti ESG: a che punto siamo?
Stando all’ultimo Rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane (2024), circa la metà degli investitori intervistati si è detto interessato a investire in prodotti ESG nei successivi 12 mesi. E secondo il sesto Rapporto Assogestioni-Censis(1), l’interesse è decisamente più elevato tra i giovani, con oltre l’82% degli under 35 che vorrebbe investire in questo tipo di strumenti.
È un segnale incoraggiante, sintomo che la sostenibilità è ormai un tema imprescindibile, anche quando si parla di investimenti: del resto, non si tratta di una moda di cui ci si possa facilmente dimenticare, ma di un Megatrend, una macrotendenza che ci accompagnerà a lungo. Eppure, tra i risparmiatori persistono alcune resistenze, spesso legate alla scarsa conoscenza e al timore che i prodotti ESG possano essere meno redditizi rispetto a quelli tradizionali. È proprio qui che il ruolo del consulente diventa fondamentale per smantellare paure e falsi miti.
I rendimenti ESG? Non hanno nulla da invidiare a quelli più “tradizionali”
Come sottolineava Robeco in un’indagine del 2024, “mezzo secolo di ricerche accademiche dimostra che, nella maggior parte dei casi, le aziende che applicano i principi ESG tendono a essere di qualità più elevata e migliori sotto il profilo finanziario”(2). Ciò si riflette sulle performance, almeno a giudicare dagli esiti del confronto fra il benchmark dell’azionario globale più tradizionale(3) e il suo omologo attento alla sostenibilità: parliamo dell’indice MSCI ACWI Sustainable Development (già MSCI ACWI Sustainable Impact), che segue l’andamento delle società quotate il cui business principale affronta almeno una delle sfide sociali e ambientali definite negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite(4).
Fatto è che nel primo trimestre del 2025 i deflussi dai fondi sostenibili sono stati minimi, pari allo 0,3% del patrimonio, mentre nel complesso sembrano continuare ad attirare l’interesse degli investitori pur nell’attuale fase di incertezza(5).
E in effetti, in un contesto globale sempre più esposto a fattori ambientali, sociali e normativi, investire in modo sostenibile non è solo una scelta etica, ma anche una strategia di gestione del rischio e di costruzione di valore nel tempo. Per questo motivo, accompagnare i clienti nella comprensione di questi aspetti – aiutandoli a distinguere tra reale sostenibilità e semplici operazioni di facciata (greenwashing) – significa trasformare una buona intenzione in una scelta finanziaria solida, informata e lungimirante.
1) https://shorturl.at/3fSfi
2) https://www.robeco.com/en-int/insights/2024/01/is-esg-investing-more-hype-than-help-for-investment-portfolios
3) L’indice MSCI ACWI rappresenta le società a media e grande capitalizzazione di circa cinquanta Paesi delle aree sviluppate ed emergenti. Fonte: https://www.msci.com/documents/10199/8d97d244-4685-4200-a24c-3e2942e3adeb
4) https://www.msci.com/documents/10199/6d2b3e68-90e0-448e-bd52-eaf0397539d1
5) https://ieefa.org/resources/sustainable-investing-outlook-strong-returns-amid-net-flow-pressures
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