08 febbraio 2023

Per navigare sicuri e scansare le tempeste, serve la guida di un professionista

Pubblicato in: Economia & Mercati

“Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa dove andare”, diceva Seneca. Quante volte l’abbiamo sentita? Mai avremmo pensato di doverla ricordare ai banchieri centrali, custodi del denaro e decisori dei destini dell’economia mondiale, che oggi, davanti ai continui cambiamenti del vento, non sanno più quale sia la direzione giusta da prendere.
Se torniamo al 2021, quando ancora la guerra non era scoppiata e il mondo stava lottando con la pandemia, sulle prime pagine i messaggi erano rassicuranti. “Tassi fermi fino al 2024, l’economia Usa mette il turbo”, era in sintesi l’opinione della Fed di Jerome Powell. Dall’altra parte dell’oceano rispondeva la presidente della BCE Christine Lagarde: “tassi fermi per tutto il 2022”. Tassi bassi perpetui e crescita economica costante: sembrava di vivere nell’Eden. E nonostante dalla seconda parte del 2021 cominciasse ad affiorare qualche segnale insidioso sui prezzi, la Fed continuava con i comunicati rassicuranti: “l’inflazione è temporanea e transitoria”.
Poi è arrivata la guerra, che con la tensione sull’energia ha scatenato l’inflazione. Ma la pressione sui prezzi era presente da mesi. Il conflitto è stato – ed è – solo una variabile. La causa scatenante è stata l’opera delle banche centrali, che hanno pompato denaro per anni proprio per rianimare l’inflazione. Come con il dentifricio: difficile farlo rientrare una volta spremuto il tubetto. Così è stato per l’inflazione. Ed è per questo che da “transitoria” e “temporanea” ora i banchieri temono che la corsa dei prezzi diventi “durevole” e tentano di combatterla con ogni arma. In primis, i rialzi dei tassi d’interesse.


Avanti tutta con i rialzi dei tassi d’interesse

Ed è stato appunto questo il primo cambio di rotta, brusco e imprevisto. Le parole rassicuranti ripetute per mesi si sono fatte improvvisamente severe, da parte di Powell quasi crudeli: “la politica monetaria sarà restrittiva per mettere l’inflazione sotto controllo e questo potrà tradursi in crescita economica più lenta, mercato del lavoro più debole e un po’ di sofferenza per famiglie e imprese”. Questo il messaggio trasmesso in estate a Jackson Hole. Un messaggio che lasciava presagire tassi ancora in salita. Sempre più in alto, ma senza mai indicare precisamente il limite e il traguardo.
In verità nessuna regola obbliga le banche centrali a scoprire le carte. Alan Greenspan diceva: “se mi avete capito, vuol dire che non mi sono spiegato bene”. Ma oggi Greenspan non è più alla guida della Federal Reserve e, sebbene Lagarde finora si sia comportata egregiamente, il timore dei mercati è che si perda la rotta e si finisca dentro la tempesta della recessione. Parola che fa tremare, e che per buona parte del 2022 è stata frequentemente riproposta, a indicare una conseguenza certa e inevitabile.
Tecnicamente, lo ricordiamo, si ha una recessione quando il dato sul Prodotto Interno Lordo registra una crescita negativa per due trimestri consecutivi. Metaforicamente, la recessione è un vento gelido che raffredda tutte le attività produttive, fermando a cascata lavoro e consumi e paralizzando l’economia. Fortunatamente, le recessioni sono più rare di quanto si pensi. Celebre la frase del Premio Nobel per l’economia Paul Samuelson: “gli indici di Wall Street hanno previsto 9 delle ultime 5 recessioni”. Insomma, anche i mercati sbagliano.


Un cauto ottimismo ha fatto capolino a Davos

Da Davos è poi arrivata la sorpresa. “L’economia sta andando meglio di quanto pensassimo”, ha dichiarato Kristalina Georgieva del Fondo Monetario Internazionale. Insomma, siamo passati dall’eccesso di pessimismo a un timido ottimismo travestito da speranza. Ma non è detto che questo sia un male, anzi. Come insegna Enzo Cipolletta, economista arguto, le previsioni migliori non sono quelle che si realizzano ma quelle che stimolano comportamenti, dei privati e dei governi (e anche delle istituzioni finanziarie), atti a evitare che esse diventino realtà. I numerosi allarmi che sono risuonati per tutto il 2022 potrebbero essere serviti appunto a questo.
Ma attenzione ai facili entusiasmi. “Ciò non significa che sta andando tutto bene”, ha infatti ammonito Georgieva. Sintomo, questo, che ora si teme di commettere l’errore contrario. Perché se più di un anno fa i banchieri centrali non hanno visto l’inflazione, poi hanno avvisato del pericolo recessione, ora che l’inflazione sembra arretrare e la recessione rimanere un fantasma non vogliono deporre le armi per evitare nuovi cambiamenti di rotta imprudenti.
Può darsi che nessun banchiere centrale voglia essere ricordato come Arthur Burns, presidente della Federal Reserve degli anni Settanta che non riuscì a sconfiggere l’inflazione perché fece marcia indietro sui tassi troppo in fretta. Meglio essere ricordati come Volcker, che portò gli Stati Uniti in recessione ma vinse la battaglia contro i prezzi alti. Tornando a Seneca, Volcker capì da che parte soffiava il vento e ricondusse in porto la nave.


Affidarsi al marinaio esperto che sappia condurre in porto la nave 

Se le grandi istituzioni finanziarie, dunque, avanzano tra i dubbi e nell’incertezza dei mercati, come possono evitare i pericoli i piccoli investitori che si muovono senza mezzi e in contesti più difficili? Dall’ultimo Rapporto Consob emerge chiaramente che per i risparmiatori è sempre più difficile orientarsi negli investimenti. A complicare lo scenario ci si sono messi l’inflazione e il rischio recessione. Sullo sfondo, rimane la consapevolezza di non saper maneggiare la materia: ognuno oscilla quindi tra il desiderio di non correre rischi e la tentazione dei facili guadagni.
Ecco perché è sempre più importante, quando non si sa dove andare, affidarsi al marinaio esperto che sappia condurre la nave nei migliori porti.


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