01 luglio 2021

Inflazione negli States: è tornata per restare?

Pubblicato in: Economia & Mercati

Durerà o non durerà? Fenomeno transitorio o duraturo? Investitori, ma anche famiglie e imprese, continuano a farsi questa domanda. E se la fa anche la Federal Reserve, la banca centrale statunitense. Tema: la fiammata inflazionistica negli Stati Uniti. L’idea che i massicci stimoli alla ripresa riescano presto o tardi a innescare il boom dei prezzi è nell’aria già da tempo. I recenti dati sull’inflazione le hanno solo dato forza. Quindi ok, i prezzi hanno dato un colpo. Ora, appunto, il quesito è: l’inflazione è qui per restare? Non è un dilemma da poco: dalla risposta dipenderà infatti il comportamento delle banche centrali. E, dunque, l’andamento dei mercati e dei portafogli d’investimento.



Cosa ci dicono i dati sull’inflazione USA?

Gli italiani non vanno fortissimi in financial literacy, o cultura finanziaria che dir si voglia, e non sempre sanno cos’è l’inflazione. Potete quindi innanzitutto ricordare al vostro cliente che per inflazione si intende un aumento generalizzato del livello dei prezzi. Nelle economie di mercato, infatti, i prezzi di beni e servizi variano, salendo o scendendo: si parla di inflazione quando si registra un rincaro di ampia portata, che non si limita a singole voci di spesa. In questo caso, un’unità di moneta permette di comprare una minor quantità di beni e servizi rispetto a prima. La moneta, in altre parole, perde potere d’acquisto.

Ebbene, nel mese di aprile l’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è cresciuto del +4,2% su base annua: si è trattato della variazione più alta dal 2008, tale da fare ombra al +2,6% “appena” di marzo. Il numero comprende i prezzi di energetici e alimentari, che nell’anno sono stati estremamente volatili. Ma il dato “core”, che invece li esclude, non è stato da meno: +3% su base annua e +0,9% mese su mese, nel maggior rialzo – pensate – dall’aprile del 1982.

Tutto questo, l’abbiamo detto, era già nell’aria. E non solo a Wall Street, tra operatori e investitori. Interpellati dall’Università del Michigan per il consueto aggiornamento del Consumer Sentiment Index, a metà maggio i consumatori statunitensi hanno fatto sapere che secondo loro tra cinque anni l’inflazione nel Paese registrerà un incremento del +3,1% anno su anno (in precedenza avevano indicato un +2,7%). Non solo: oggi i consumatori si aspettano che tra 12 mesi la variazione annua dell’inflazione negli States sarà del +4,6% (dal precedente +3,4%).


Ciò, d’altro canto, riflette i movimenti delle attese d’inflazione del mercato: basti pensare che i tassi impliciti nelle quotazioni dei titoli TIPS (Treasury Inflation Protected Securities) a 10 anni sono aumentati dal 2% di inizio anno al 2 e mezzo circa (2,41% al 20 maggio 2021).



Come siamo arrivati a questo punto?

Ci sta, qui, una breve cronistoria. Prima fu la crisi finanziaria globale, scatenata dallo scoppio della bolla subprime e dal crack della Lehman Brothers. Per contrastarne gli effetti depressivi sull’economia, le banche centrali diedero fuoco alle loro polveri monetarie. Mancando però loro un convinto supporto da parte dei governi – all’epoca in Europa era molto in voga l’austerità in tema di conti pubblici – non riuscirono a smuovere di molto l’inflazione. I prezzi non subirono rialzi significativi, come del resto neppure la crescita.

Poi, anni dopo, è arrivata la pandemia di Covid-19. E, con essa, una nuova, micidiale, crisi economica. Non solo le banche centrali hanno accantonato qualunque programma di riposizionamento su politiche monetarie più convenzionali (vi ricordate il tapering?), ma questa volta sono scesi in campo pure i governi. Persino quello europeo: avete presente i miliardi del Next Generation EU e la sospensione dei vincoli di bilancio imposti agli Stati membri? Appunto.

Insomma, da una terapia che sembrava imponente si è passati a una terapia che, al confronto, quasi la fa impallidire. Oltre alla cura economica c’è, non lo dimentichiamo, il dispositivo di prevenzione medica: ovvero il vaccino, la cui erogazione ha finalmente preso a marciare anche nel Vecchio Continente. Man mano che progrediscono le vaccinazioni, le restrizioni vengono meno. E la grande domanda, repressa dopo mesi di limitazioni e rinunce, sta trovando finalmente espressione.

Tutto pronto per il definitivo lancio in orbita dell’inflazione? I recenti dati USA indurrebbero a ritenere che sì, è tutto pronto. Ma la Fed che cosa ne pensa?



Tutti guardano alla Fed: nuovo tapering in vista?

Al momento, un nuovo tapering tutto sembra fuorché imminente. Anzi. La banca centrale USA vuole prima aspettare che si consolidino i numeri della ripresa. Sui verbali della riunione del 27 e 28 aprile del Federal Open Market Committee, il principale strumento di politica monetaria della Federal Reserve, si legge: l’inflazione è salita, ma riflette effetti transitori. I funzionari della banca centrale statunitense parlano poi di “colli di bottiglia” nella catena di approvvigionamento e di loro ripercussioni sull’andamento dei prezzi.

Attenzione, però: alcuni componenti della Fed hanno suggerito che, se l’economia continua sulla strada di rapidi progressi verso gli obiettivi della banca centrale della piena occupazione e della stabilità dei prezzi, “potrebbe essere appropriato a un certo punto nelle prossime riunioni iniziare a discutere un aggiustamento” della velocità degli acquisti di asset. Volendo riassumere: non si vuol rischiare di ritirare prematuramente il supporto all’economia, ma certamente i segnali non verranno trascurati. La Fed, come del resto le altre banche centrali, è la prima a stare sul chi-va-là. Aspettiamo, anche noi, e stiamo a vedere.


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NOTA DI REDAZIONE: gli argomenti e i grafici sono frutto di elaborazione interna.
 
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