21 marzo 2023

La trasmissione dei prezzi dell’energia all’inflazione nell’area euro

Pubblicato in: Economia & Mercati

Gli orientamenti della politica monetaria, in seguito alle massicce iniezioni di liquidità dell’era Covid, si sono rese sempre più determinanti nel definire l’orientamento degli investitori e l’andamento dei mercati. Anche per questa ragione, la lettura dei dati sull’inflazione dell'area euro, che orienta le decisioni della Banca Centrale Europea (e della Federal Reserve statunitense), ha assunto un’importanza fondamentale nell’interpretazione dell’attualità finanziaria.


Euro inflazione: l’obiettivo BCE e le scelte del 2021

L’inflazione è un’indicazione sintetica dell’andamento dei prezzi e, al suo interno, possono verificarsi dinamiche assai variegate. In questa particolare fase, comprendere le sfumature riguardo a cosa contribuisce a far salire o scendere l’inflazione può aiutare ad anticipare le probabili mosse delle banche centrali e l’andamento dei mercati.
Di norma, come sappiamo, se l’inflazione sale oltre gli obiettivi, la banca centrale interviene alzando i tassi e restringendo così il flusso di credito e la circolazione della moneta. Se i prezzi aumentano, però, a causa di importazioni più costose, restringere la politica monetaria potrebbe rivelarsi inefficace o dannoso perché quei rincari non sono guidati da un eccesso di domanda ma da una scarsità di offerta. Nel 2021, in seguito alle difficoltà nelle forniture di diversi prodotti industriali come i semiconduttori, l’inflazione aveva già iniziato a superare l’obiettivo BCE “vicino ma inferiore al 2%”.
Per rispondere a questa situazione nella quale, obiettivi alla mano, la BCE sarebbe stata costretta ad aumentare i tassi, si è optato per rivedere il suo mandato: in seguito alla revisione strategica dell’estate 2021, l’obiettivo si è trasformato in un tasso di inflazione al 2% nel medio termine. Sembra una modifica sottile e teorica, ma ciò ha permesso per diversi mesi all’Eurotower di rinviare la stretta monetaria, perché - si disse – l’inflazione avrebbe potuto temporaneamente salire sopra il 2%.
Qualcosa di analogo era avvenuto nella strategia della Fed poco tempo prima. La guerra in Ucraina, in seguito, ha reso molto meno transitorio del previsto l'aumento dei costi su diversi prodotti importati dall’estero, a partire dal gas.


Inflazione zona Euro: a che punto siamo oggi?

All’inizio del 2023 ci si trova in una situazione opposta rispetto a quella del 2021: le componenti dell’inflazione, che derivano dal costo di alcune importazioni-chiave come quelle dell’energia, stanno scendendo ed esercitando così un freno sul dato generale. Altrove, però, altri beni e servizi stanno diventando più cari. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, per esempio, c’è una grande attenzione sull’andamento del prezzo dei servizi, per i quali il costo del lavoro rappresenta gran parte degli oneri a carico delle imprese.
Se questi ultimi salgono, potrebbe significare che gli aumenti salariali richiesti dai lavoratori si stanno trasferendo sui prezzi finali, innescando la temuta spirale fra prezzi e salari. Ed è proprio su queste dinamiche che la politica monetaria può incidere in modo efficace, al contrario di quanto avviene per il costo dei semiconduttori o del gas naturale.
Per queste ragioni, proprio nel momento in cui l’inflazione ha raggiunto il picco e ha iniziato a scendere i governatori delle maggiori banche centrali insistono nel dire che “la strada è ancora lunga” e che i tassi resteranno alti ancora per diverso tempo, anche quando i rialzi saranno ultimati. Al contrario di quanto osservato nel 2021, è legittimo aspettarsi una continuità nel mantenimento di tassi elevati anche in presenza di un dato generale sull’inflazione in fase di ribasso, fintantoché l’inflazione di fondo non comincerà a rallentare in modo stabile.


Sarà importante capire cosa c’è dietro la discesa dei prezzi

La conferma che questa potrebbe essere la condotta più ragionevole da parte della Banca Centrale Europea nel corso del 2023 arriva da un nuovo paper della Banca d’Italia a cura di Francesco Corsello e Alex Tagliabracci. I due economisti hanno evidenziato come nei primi nove mesi del 2022 l’inflazione è stata provocata per oltre il 60% dai costi energetici, direttamente o indirettamente.
Di conseguenza, se una discesa dell’inflazione nei prossimi mesi dovesse essere giustificata solo da un rientro dai costi energetici, questo avrebbe poco a che vedere con il successo o l’insuccesso delle mosse della BCE.
“Dato il ruolo prevalente dei prezzi dell’energia nel guidare l’inflazione – un fattore di offerta esogeno che difficilmente può essere influenzato direttamente da aumenti dei tassi di policy – la velocità di aggiustamento appropriata”, per la politica monetaria, “dipenderà in larga misura dalla valutazione dei rischi di effetti di secondo impatto e di un de-ancoraggio delle aspettative di inflazione a lungo termine”, hanno scritto i due autori.
Per effetti di secondo impatto si intendono proprio i rialzi dei costi di altri beni e servizi guidati in origine dai rincari energetici e, in seconda battuta, dalla legittima richiesta di adeguamenti salariali che compensino almeno in parte la perdita del potere d’acquisto subita nell’ultimo anno. La strada è ancora lunga, ma non necessariamente sarà difficile da percorrere. Per chi investe sarà importante – come del resto lo è sempre – affrontarla ben attrezzato. Di una buona consulenza finanziaria.


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