L’incertezza – scatenata dalla pandemia prima e dall’invasione russa dell’Ucraina poi – ha rinvigorito la già proverbiale propensione al risparmio degli italiani, che oggi veleggia intorno al 13,1% del reddito disponibile. Vero è che – forse proprio in ragione di questa sensazione di incertezza – una quota rilevante dei risparmi è in forma liquida, ferma su conti correnti bancari e depositi, che attualmente rappresentano il 32,1% del totale delle attività finanziarie. Insomma: i cari vecchi contanti, subito disponibili in caso di bisogno.
Ma circa la metà dei risparmiatori si dice pronta a scongelare un po’ di questa liquidità per investirla sui mercati. Possibilmente, indirizzando le proprie risorse verso investimenti etici o a sostegno delle piccole e medie imprese italiane. È questa la fotografia scattata dal terzo Rapporto Censis-Assogestioni, presentato in occasione dell’ultimo Salone del Risparmio.
Dimmi come investi e ti dirò chi sei
Lo studio individua quattro tipologie di risparmiatore, con altrettante diverse propensioni.
• Impaurito: il 21,5%, “ossessionato dal cash”, si dice pronto ad ampliare l’attuale quota di liquidità, anche a scapito di altre forme di risparmio.
• Cauto: il 30,8% vuole preservare la propria quota di contante, senza tuttavia penalizzare altre forme di risparmio.
• Moderato: il 36,4% si dice intenzionato a investire almeno in parte il contante accumulato.
• Audace: l’11,3% è costituito da risparmiatori solidi dal punto di vista patrimoniale, abituati agli investimenti azionari e attualmente propensi a investire una parte delle loro risorse in attività finanziarie ad alto rischio e con alti rendimenti potenziali.
Investimenti sempre più etici, titoli di Stato meno interessanti
Interrogati sulla destinazione dei propri ipotetici investimenti futuri, i risparmiatori si sono detti piuttosto scettici sui titoli di Stato: solo il 28,3% investirebbe in Bot o Cct, contro il 71,7% che non lo farebbe. E appare sbiadito anche lo storico amore degli italiani per il mattone. Per il 38,2% dei risparmiatori, l’investimento immobiliare non conviene perché tasse e costi di manutenzione degli immobili sono troppo alti. E per il 17,3% ci sono modalità migliori di investimento (per il 30,8% resta comunque la prima opzione per investire i propri soldi).
Prende piede, invece, l’investimento “buono”. Nel dettaglio, il 78% dei risparmiatori vuole sapere che i propri soldi andranno a finanziare soggetti, pratiche e azioni rispettosi dei diritti umani e della dignità umana. Mentre il 54,4% vorrebbe indirizzare i propri risparmi verso le piccole e medie imprese italiane, a sostegno dell’economia reale e dei suoi protagonisti.
Come tornare agli investimenti finanziari
Quanto ai requisiti degli investimenti che potrebbero stimolare le persone a dirottarvi risorse, il 49,6% dei risparmiatori indica un orizzonte temporale piuttosto breve, di 1-3 anni. Il 25% indica una durata superiore ai 3 anni, l’11,4% di un anno al massimo.
Il 38,8% vorrebbe rendimenti più alti, il 25,6% costi dei servizi di gestione più bassi, il 22,8% rassicurazioni sul valore reale dell’investimento. Aiuterebbe a vincere paure e resistenze dei risparmiatori anche l’evoluzione di aspetti di contesto, come un sistema di welfare più ampio e rassicurante (28%) e un allentamento dell’incertezza generale (22,8%).
Il ruolo strategico della consulenza
Dall’analisi emerge un giudizio positivo nei confronti dell’industria del risparmio gestito: il 40% la conosce e, di questa quota, il 46,2% ne ha fiducia (il 36,2% no, il 17,6% è incerto).
Insomma, il risparmio gestito se lo conosci lo apprezzi – e sei anche propenso a investirvi. Con l’aiuto di un consulente finanziario, possibilmente. Da questi professionisti, il 40,8% degli italiani si aspetta chiarezza, cioè la capacità di esporre in modo semplice rischi e opportunità degli investimenti proposti, mentre il 39,5% chiede competenza e il 24,3% attenzione alle proprie domande, esigenze e paure. Infine, il 21,7% cerca esperienza e capacità di trasmettere sicurezza, mentre il 20,3% si aspetta prontezza di reazione a quel che accade e alle possibili ricadute sugli investimenti.
In definitiva, quel che emerge dal rapporto è che, in una situazione turbolenta come quella che stiamo vivendo, la tentazione di rifugiarsi nel rassicurante risparmio “liquido” e pronto all’uso è forte. Per andare oltre questa situazione, si legge nel Rapporto, “non basta promuovere la pur essenziale educazione finanziaria o elargire consigli di pura ragionevolezza: occorrono alternative percepite come praticabili e attrattive, in grado di affermarsi nella diffusa sensazione di incertezza e paura sul futuro tuttora dominante”. E in questo, i consulenti finanziari giocano un ruolo di primissimo piano.
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