01 aprile 2025

Vizi e virtù del risparmio delle famiglie italiane

Pubblicato in: Financial Advise

Come sono cambiati i portafogli finanziari delle famiglie italiane nell’arco degli ultimi quindici anni? Al tema è dedicato un recente approfondimento apparso nella serie “Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers)” della Banca d’Italia e intitolato “La composizione del portafoglio delle famiglie nel periodo 2010-23: evidenze dai Conti finanziari e dall’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane”.

Andando dritti al punto, scopriamo innanzitutto che tra il 2010 e il 2020, con i tassi d’interesse molto bassi, le famiglie italiane “hanno significativamente diminuito la quota di obbligazioni pubbliche e private, aumentando nel contempo quella del risparmio gestito”. La ragione – o almeno, una delle ragioni – è molto semplice: le famiglie sono andate alla ricerca di rendimenti più consistenti.

Tra il 2020 e il 2023, quando i tassi di interesse sono risaliti, si è poi assistito ad acquisti netti abbastanza importanti di titoli di debito, soprattutto quelli pubblici italiani, mentre i flussi del risparmio gestito e dei depositi sono stati negativi.


Più attenzione al risparmio gestito (senza perdere di vista la liquidità)

L’analisi, come si intuisce dal titolo, combina i dati aggregati dei Conti finanziari su tutto il periodo con quelli microeconomici di diverse edizioni dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, condotte fra il 2010 e il 2020. Ebbene, le evidenze emerse dai Conti finanziari ci segnalano che nel decennio compreso tra il 2010 e il 2020 la prevalenza di tassi di interesse bassi (in particolare, dal 2013 in poi) ha favorito appunto una ricomposizione del portafoglio delle famiglie nel senso di una riduzione delle quote di obbligazioni pubbliche e private a favore di investimenti nel risparmio gestito.

“I prodotti del risparmio gestito”, si legge nel documento, “offrivano alle famiglie la prospettiva di ottenere saggi di remunerazione più elevati rispetto al livello storicamente contenuto dei rendimenti delle obbligazioni pubbliche e private”. Una domanda più che pertinente, a questo punto, potrebbe essere la seguente: tutto questo ha in qualche modo scalfito la quota detenuta in liquidità? Verrebbe da pensare di sì, considerando quanto poco – in media – siano stati redditizi gli strumenti di liquidità nel periodo in questione. E invece no: la quota dei depositi non è stata intaccata ed è anzi lievemente aumentata, al 27,6%.


Dal 2022 in poi, gli italiani hanno riscoperto l’obbligazionario 

Sulla domanda di obbligazioni bancarie ha inoltre verosimilmente inciso la rimozione, nel 2011, del vantaggio fiscale ad esse associato. Fino al 2011, i rendimenti degli investimenti in obbligazioni bancarie beneficiavano di una tassazione al 12,5%, pari a quella dei titoli di Stato. In seguito, l’aliquota è stata equiparata a quella delle altre rendite finanziarie, al 20%, poi elevata al 26% nel 2014.

C’è anche da dire che probabilmente la disponibilità di rifinanziamento a lungo termine da parte della Banca Centrale Europea e l’introduzione nel 2014 della Banking Recovery and Resolution Directive (o BRRD, la direttiva che ha introdotto in tutti i Paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento) hanno ridotto l’offerta di questi strumenti.

Secondo i dati riportati nei Conti finanziari, in concomitanza con l’aumento dei tassi di interesse, avvenuto nel periodo 2022-2023, si è osservata un’inversione di tendenza, con una riscoperta delle obbligazioni, specialmente quelle pubbliche. Ma nonostante gli andamenti dell’ultimo biennio, alla fine del 2023 l’incidenza del risparmio gestito sul totale delle attività risultava più elevata di quella del 2010. La quota dei titoli di debito è salita al 7,6%, dal minimo del 4,2% registrato nel 2021, pur restando ancora di molto inferiore (quasi 12 punti percentuali) rispetto a quella del 2010. E i depositi? La loro fetta sul totale è solo leggermente più bassa.


Affiancare le famiglie nella gestione del risparmio

 Cosa ci dicono questi dati? Innanzitutto, che le famiglie italiane sono disposte a valutare alternative ai titoli obbligazionari, purché il gioco valga la candela. E cioè se si fa capire loro che, combinando questi titoli con altri strumenti (come le azioni, ma non solo: ci sono anche i fondi, che includono nel loro paniere un set di titoli già ben diversificato), i ritorni possono essere più interessanti. Soprattutto, però, i dati ci ricordano che occorre un affiancamento professionale per accompagnare i risparmiatori fuori dalla zona di conforto della liquidità.

L’Osservatorio “Look to the future” , a cura di Nomisma e Athora, ci dice che nell’ultimo anno il 64% degli italiani ha accumulato risparmi sul conto corrente e solo il 36% si è aperto ad altre soluzioni di risparmio o a soluzioni di investimento o di protezione del capitale. Se da un lato si conferma la consapevolezza dell’importanza di risparmiare per far fronte agli imprevisti, dall’altra si ribadisce ancora una volta l’equazione “risparmio uguale accumulo sul conto corrente”. Che non è la maniera più efficiente di gestire il risparmio perché – e anche questo va ricordato agli italiani – i soldi fermi in liquidità sono esposti all’azione erosiva dell’inflazione.

Per dirla con le parole di Sergio Sorgi, sociologo e fondatore di Progetica , “gli operatori, nelle fasi di incertezza, sono chiamati a dare supporti decisionali più che risposte. La parola magica è ‘capacitazione’, aiutare i clienti a essere consapevoli delle scelte che fanno e dell’esito di ogni decisione o indecisione. Ci vuole, per questo, un’educazione finanziaria personale, più che nozionistica, un accompagnamento che non può essere fornito da un algoritmo ma da un operatore in carne e ossa”.


L’importanza di partire dai reali bisogni degli investitori e delle loro famiglie

Come sempre, i numeri sono solo un punto di partenza per avviare una riflessione più profonda sui portafogli delle famiglie italiane e sulla loro effettiva capacità di soddisfarne i reali bisogni (crescita del capitale, protezione, pensione, passaggio generazionale e via dicendo).

In questo quadro, ancora una volta si dimostra rilevante il ruolo del professionista della consulenza che, muovendo da questi dati, può sedersi al tavolo con i suoi assistiti e ragionare con loro sull’importanza di possedere un portafoglio non solo adeguatamente diversificato, ma anche impostato sui loro reali bisogni, evitando l’errore di una eccessiva – o di una scarsa – esposizione a uno o all’altro prodotto. Magari sull’onda (miope) delle vecchie abitudini, dell’euforia o delle ansie del momento.


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