24 marzo 2025

Dal videogame al “game over”: salvare gli investitori dalla gamification

Pubblicato in: Financial Advise

Cosa succede se il processo di investimento diventa accattivante come un videogioco? Semplice: succede che molti potenziali investitori, soprattutto giovani, abituati a “videogiocare”, ne sentano maggiormente il richiamo. E questo, in linea molto teorica, potrebbe anche essere un bene: gli italiani, si sa, investono ancora troppo poco nei mercati finanziari. C’è però un problema: proprio perché l’investimento così presentato è più accattivante, molti filibustieri ricorrono al trucco della cosiddetta “gamification” per attirare i più sprovveduti. Con esiti spesso disastrosi (per chi non è adeguatamente informato, s’intende).


“Gamification”: cos’è e cosa c’entra con gli investimenti?

Alla gamification degli investimenti finanziari è dedicato un recente Quaderno Giuridico della Consob , che si interroga sulle insidie del vivere l’investimento finanziario come un videogioco, tra clic, social, classifiche e “meme”. Il termine “gamification” indica proprio “l’utilizzo di meccanismi tipici del gioco e, in particolare, del videogioco (punti, livelli, premi, beni virtuali, classifiche), per rendere gli utenti o i potenziali clienti partecipi delle attività di un sito e interessarli ai servizi offerti”.

Il ricorso a elementi e tecniche di gioco in attività che di per sé non sono ludiche punta, fra l’altro, a suscitare un coinvolgimento emotivo. Il problema si pone in particolare rispetto agli investitori più giovani, che tipicamente sono i più propensi non solo all’utilizzo dei dispositivi digitali, ma anche agli investimenti particolarmente rischiosi, come le criptoasset e la finanza decentralizzata.


Qualche esempio di gamification, tanto per capirci

Gli esempi possono essere diversi. Una tecnica di gamification in grado di influenzare in modo significativo la condotta dell’investitore è il cosiddetto “design”: un’architettura intuitiva e una presentazione visiva accattivante di app e interfacce di trading online (tavolozze di colori o coriandoli colorati che compaiono al verificarsi di certi eventi) che mirano a invogliare gli utenti a compiere specifiche azioni.

Va forte anche la gamification che consiste nel favorire uno stretto legame tra l’attività d’investimento finanziario e l’utilizzo dei social media. Alcune app di trading, per dire, consentono agli utenti di registrare attraverso “screenshot” la loro operatività (quando non addirittura le operazioni di trading altrui) e di pubblicarla sui social: in questo modo, si favorisce la compilazione di classifiche fra trader e il cosiddetto “copy trading”.

• Attraverso le classifiche, si evidenziano i trader di maggior successo in termini di popolarità o di performance conseguite in un determinato arco temporale.

• Con il copy trading, teoricamente si avrebbe la possibilità di copiare l’operatività degli investitori di riferimento scelti frequentemente proprio in base alla loro classifica.

Entrambi questi fenomeni fanno leva sullo spirito di emulazione dell’investitore retail. Attenzione, però: diventa difficile, a un certo punto, distinguere tra risultati conseguiti per l’abilità dell’investitore copiato e risultati raggiunti per puro caso. Il che è particolarmente vero quando l’orizzonte temporale è di breve termine.


Attenzione: i “meme” possono anche far piangere

Una forma di gamification degli investimenti finanziari strettamente connessa alle tecniche che incentivano l’uso di digital device, app di trading e social network è quella dei titoli “meme”: strumenti e prodotti finanziari resi popolari attraverso il ricorso ai cosiddetti “meme”, ossia immagini, frasi, video o foto presentate in chiave buffa e che si diffondono in maniera virale e spontanea sul web.

Il titolo “meme” può essere oggetto di attenzione (e di operatività) da parte sia degli investitori specializzati sia dei piccoli investitori incentivati a negoziarli dai social network, i quali, talvolta, fanno addirittura da dispositivi di sincronizzazione della loro attività di trading. In questo modo, i piccoli investitori si trovano ad agire come un unico grande trader, in grado di influenzare – e non di poco – i prezzi, portandoli a volte molto al di sopra dei valori fondamentali della società emittente. È chiaro, a questo punto, che i titoli meme sono nettamente più rischiosi di altri titoli negoziati sui mercati.

Una variante molto diffusa di titoli meme riguarda le “meme coin”, anch’esse caratterizzate da elevata volatilità e interessate da strategie di trading del tipo “pump-and-dump”: “pompa e sgonfia”, ossia fai lievitare artificialmente il prezzo di un certo titolo/strumento e poi vendilo a un prezzo ben superiore a quello di mercato.

Sebbene i titoli “meme” rappresentino soltanto una piccola quota degli scambi nei mercati finanziari, secondo alcuni esperti le oscillazioni dei loro prezzi influenzano il corso dei mercati: addirittura c’è chi parla di “mementum”, termine che fotograferebbe la relazione tra prezzo e volumi di scambio di un titolo “meme” da un lato e l’attività registrata sui social media dall’altro, arrivando a identificare veri e propri periodi “meme”.


Gamification? Molto meglio la consulenza finanziaria

Non manca chi ravvisa nella “gamification” alcuni effetti positivi: c’è chi ritiene che possa favorire una maggiore partecipazione al mercato dei capitali da parte dei risparmiatori retail, livelli più alti di educazione finanziaria e una più agevole selezione dei prodotti rispondenti alle aspettative dell’investitore retail in termini di rapporto rischio/rendimento. Non dimentichiamo però che porta con sé soprattutto dei rischi, specialmente a carico dei piccoli investitori. Rischi che le autorità di vigilanza devono identificare e mitigare, proprio nell’ottica della tutela di questi ultimi.

I consulenti finanziari possono fare la loro parte: possono, per esempio, studiarsi per bene queste pratiche ingannevoli, per potenziare la loro abilità di intercettazione e comprendere così se e quando queste attività catturano i loro clienti, specialmente i più giovani, facendo così anche un’opera di alfabetizzazione finanziaria (in Italia ce n’è ancora tanto bisogno). Ai clienti va anche ricordato che affidarsi alla consulenza finanziaria rimane la scelta più sicura ed efficace, per due fondamentali ragioni: 

• i consulenti finanziari hanno una formazione specifica e competenze radicate nel campo, certificate dall’iscrizione a un Albo professionale, che è appunto l’Albo dei consulenti finanziari. L’Albo è tenuto dall’apposito Organismo di vigilanza (l’OCF), che vigila sul corretto operato degli iscritti, tenuti quindi a seguire una certa condotta, nel primario interesse dell’investitore. I vari “guru” sul web sono invece “battitori liberi” e non considerano il benessere finanziario dei risparmiatori;

• il professionista degli investimenti ha tutti i titoli per poter dare consigli e indicazioni su ogni aspetto della gestione del risparmio: quello finanziario, certamente, ma anche previdenziale, fiscale, successorio, immobiliare e aziendale. Insomma, tutto ciò che riguarda i bisogni nell’intero ciclo di vita, a cominciare dalla più giovane età, in un’ottica di lungo termine.

Sono parecchi i “pro” che depongono a favore del consulente: la sua preparazione, l’aggiornamento continuo che arricchisce le sue conoscenze e competenze, una professionalità che si coniuga con la capacità di stare al fianco del cliente per aiutarlo a gestire le emozioni e ad acquisire una maggiore alfabetizzazione finanziaria. E poi, detto fuori dai denti: per la cura della salute, meglio affidarsi a un carismatico sciamano o a un dottore laureato e specializzato? La seconda, decisamente: e i dati scientifici lo provano.

Lo stesso vale per la consulenza. Le allettanti proposte del web possono attirare, certo, ma è bene non cedere alla loro opera di seduzione: occorre sempre ricordare all’investitore che ciò può avere conseguenze devastanti sui suoi soldi, sulla sua serenità, sulla sua fiducia. E sul suo futuro.


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