Banche centrali: scenari e decisioni tra Fed e BCE

Banche centrali: scenari e decisioni tra Fed e BCE

Pubblicato il 25 giugno 2025 in Economia & Mercati

Le politiche commerciali dell’amministrazione Trump negli Stati Uniti hanno comportato un aumento delle aspettative di inflazione e, parallelamente, delle preoccupazioni sulla crescita economica. Il che, a cascata, mette le banche centrali in una posizione difficile. Specialmente la Fed, il cui mandato contempla non solo la stabilità dei prezzi, ma anche la piena occupazione (che va a braccetto con la crescita economica).

Le ultime riunioni delle due grandi banche centrali occidentali – quella europea e quella statunitense – si sono tenute rispettivamente il 5 e il 17-18 giugno. Se la Fed ha ribadito ancora una volta il suo approccio attendista, evitando di intervenire sui tassi, la Banca Centrale Europea ha optato per una riduzione del costo del denaro dello 0,25%: il consiglio direttivo ha infatti deciso di abbassare i tre tassi di interesse chiave della BCE, al 2% quelli sulle operazioni di deposito, al 2,15% i tassi sulle operazioni di rifinanziamento principali, al 2,40% quelli sulle operazioni di rifinanziamento marginale. 

Siamo al “giro di boa” di metà anno, insomma, e in attesa dei prossimi meeting (il 23 e 24 luglio quello della BCE, il 29 e 30 dello stesso mese la riunione del FOMC della Fed), vediamo come si stanno muovendo le banche centrali in risposta a un contesto macroeconomico a dir poco mutevole.



Federal Reserve in modalità “wait and see”

Negli Stati Uniti, la banca centrale si trova stretta tra l’esigenza di tenere a bada l’inflazione e quella di sostenere la crescita economica. Il presidente Powell ha sottolineato in diverse occasioni come i dazi introdotti (o prospettati) dall’amministrazione Trump rischino di alimentare le pressioni inflazionistiche. E nonostante, per il momento, i dati mostrino una traiettoria dei prezzi ancora sotto controllo, occorre tener conto anche del complicato scenario geopolitico internazionale e dell’eventuale impatto sull’offerta di materie prime, sui prezzi dell’energia e sull’inflazione più in generale.

Parallelamente, la Fed ritiene che il mercato del lavoro resti ancora piuttosto solido e che non ci sia dunque motivo di tagliare preventivamente i tassi di interesse. 

L’approccio attendista è dettato proprio dalla situazione di incertezza: non essendo ancora chiaro se assisteremo a una nuova fiammata inflazionistica o a un rallentamento della crescita, la banca centrale preferisce restare alla finestra in attesa di indicazioni più precise dai prossimi dati. Una posizione che Powell continua a difendere con convinzione nonostante sia stato più volte criticato – anche con toni piuttosto accesi – dall’inquilino della Casa Bianca, che spinge invece per un allentamento della politica monetaria in modo da bilanciare lo shock legato alle sue politiche commerciali aggressive. Sollevando, così, anche una certa preoccupazione circa la possibile interferenza politica nelle decisioni della banca centrale.

Intanto, la Fed sta rivedendo, per la prima volta dal 2020, la sua strategia di politica monetaria, cioè gli obiettivi e i metodi utilizzati per definire la politica sui tassi di interesse e comunicarla al pubblico. In un intervento recente, Powell ha spiegato che l’economia è “cambiata significativamente” dal 2020: i tassi di interesse a lungo termine oggi sono notevolmente più alti e, naturalmente, è mutato anche il contesto.



La Banca Centrale Europea? Procede con i tagli 

Dal canto suo, la Banca Centrale Europea si trova in una situazione in un certo senso più semplice: nel Vecchio Continente, infatti, il rischio di un rialzo dell’inflazione è più contenuto, mentre il tema più importante resta la crescita. 

Nel suo quarto bollettino economico del 2025, la BCE evidenzia che l’inflazione “è attualmente intorno all’obiettivo di medio termine del 2% fissato dal Consiglio direttivo”. Nello scenario di base delle proiezioni macroeconomiche di giugno dello staff dell’Eurosistema per l’area euro, il dato complessivo è ora fissato in media al 2% nel 2025, all’1,6% nel 2026 e al 2% nel 2027. Quanto alla crescita del PIL reale, lo staff prevede una media dello 0,9% nel 2025, dell’1,1% nel 2026 e dell’1,3% nel 2027. E se il primo trimestre è stato migliore del previsto, le prospettive per il resto dell’anno appaiono più deboli.



Come affiancare gli investitori in questa fase?

In un quadro globale in continua trasformazione, con le banche centrali che si muovono con prudenza tra inflazione e crescita, il ruolo del consulente finanziario diventa ancora più cruciale. È fondamentale aiutare i clienti a leggere correttamente i segnali che arrivano dai mercati e dalle istituzioni, senza farsi annebbiare la vista dall’incertezza del breve termine.

È importante tener presente che le banche centrali restano vigili e pronte ad agire. Per gli investitori, questo è il momento di rimanere coerenti con i propri obiettivi di lungo periodo, interpretando il contesto e modulando le scelte con equilibrio. E con l’affiancamento del consulente finanziario.

Economia BCE

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