09 maggio 2022

Europa, unita è meglio: i primi trent’anni del Trattato di Maastricht

Pubblicato in: Economia & Mercati

“Roma, dicembre 2003. Sul Quirinale sventola, assieme al tricolore, il vessillo dell'Unione Latina, che ha sostituito la Comunità Europea, e alla quale hanno aderito Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. In giro molta gente a piedi e in bicicletta, poche le moto e pochissime le automobili, a causa del razionamento della benzina, che ha portato i prezzi del mercato nero alle stelle. Anche i blackout dell’energia elettrica sono frequenti…”.

Scritto nel 1992 dal professor Marcello De Cecco, “I Disgregati del 2003”, di cui abbiamo citato l’incipit, immaginava quale avrebbe potuto essere il futuro dell’Europa se la situazione avesse virato al peggio. Con il no all’euro e alla costruzione di una vera Unione Europea.


Trattato di Maastricht cos’è, cosa prevede e perché è importante

Partiamo dall’essenziale: che cos’è il Trattato di Maastricht? Può essere considerato il primo vero atto di costruzione dell’Unione Europea. Prende il nome dalla città dei Paesi Bassi sulle rive del fiume Mosa. Qui, il 7 febbraio 1992, i 12 Paesi fondatori si riunirono per apporre la firma sul Trattato istitutivo dell’UE. Un testo che si fondava su tre principali pilastri e due grandi settori di cooperazione: politica estera e sicurezza comune, giustizia e affari interni.
Ma a livello mediatico questo momento storico è ricordato principalmente per le limitazioni economiche e di bilancio che ha imposto, vale a dire:
• rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%;
• rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%.
In realtà, l’Accordo di Maastricht è un testo di oltre 250 tra articoli nuovi, protocolli e dichiarazioni. A seconda delle fasi economiche, è stato più volte criticato e contestato, fino ad arrivare addirittura al pentimento per aver – sostengono alcuni – aderito troppo precipitosamente.
Ma è davvero così? Diciamo che il Trattato Maastricht può essere considerato come un “regolamento di condominio” per chi vuole entrare nella casa della Moneta Unica. Entrare per primi ha comportato una serie di doveri (i sacrifici per rispettare i parametri), ma anche dei diritti, come il privilegio di redigere il regolamento che tutti devono rispettare.
Più volte contestato ideologicamente, attualmente il Trattato viene criticato nel merito, considerato nella sua forma anacronistico, costituito in un’altra era e in un altro mondo. Oggi si discute su come riformularne tutti i parametri. E l’Italia, tra i Paesi fondatori dell’Unione, potrà sedersi al tavolo attorno al quale si deciderà il nostro futuro.


Cosa sarebbe successo se non avessimo firmato l’Accordo di Maastricht?

Il presidente francese François Mitterand decise di rimettere al suo popolo la decisione attraverso un referendum. Si posero così nelle mani del solo popolo francese i destini di un’intera comunità. Dal momento che senza un Paese importante e cruciale come la Francia difficilmente il progetto sarebbe andato avanti. Vinsero i “Sì”, con il 51,06%.
A posteriori, possiamo dire che la tanto temuta e criticata speculazione finanziaria ebbe un ruolo da protagonista, riuscendo nell’obiettivo di dissuadere i percorsi in solitaria. Se il 7 febbraio 1992, giorno della firma del Trattato di Maastricht, sui mercati regnava una certa tranquillità, così non era già più in autunno, quando i singoli Paesi si riunirono e in diverse forme si apprestarono a ratificare l’Accordo. Il violento attacco alla lira e poi alla sterlina inglese, con il rischio che si propagasse ai Paesi limitrofi, portò a prendere la strada più ragionevole.



Trattato di Maastricht 1992, com’era il mondo all’epoca? E quale fase stava attraversando l’Italia?

Nel 1992 il mondo era ancora molto lontano dall’idea di globalizzazione e unione.
In particolare:
• dopo la guerra nel Golfo, gli Stati Uniti erano impegnati a uscire dalle sacche della recessione;
• il Giappone era da poco entrato in una crisi i cui effetti collaterali si sentono ancora oggi;
• la Cina era un luogo ancora remoto;
• in Europa, la Germania impegnata nella storica operazione di riunificazione era l’osservato speciale.
Ma, in relazione al Trattato di Maastricht 1992, la situazione più delicata era in Italia. Dove la bufera che montava con lo scandalo “Mani Pulite” stava rivoluzionando la politica. Il percorso non fu agevole. Anzi: fu molto travagliato.
Anche se sofferta, la decisione fu presa: l’Italia fu il quinto Paese a ratificare il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea, con un risultato finale alla Camera di 403 voti favorevoli, 46 contrari e 18 astenuti. Un’approvazione schiacciante e corale che vedeva pronunciarsi a favore persino il neonato partito della Lega.
A trent’anni di distanza, quando i giudizi sono spesso ancora ondivaghi e contrastanti, la domanda è una e una sola.


Pro e contro Trattato Maastricht: ci abbiamo guadagnato o perso?

Una più attenta riflessione ci induce a concludere che la nostra è stata la scelta migliore, e per un motivo ben preciso: se la moneta unica doveva essere la casa di tutti, meglio entrare nel “condominio” fin da quando si redige il regolamento. Normale per chi arriva più tardi sottostarvi. Ma dal punto di vista pragmatico, sono stati più i pro o i contro?
• I contro sono sostanzialmente due: una riduzione dei poteri di Bankitalia e la cancellazione della lira. Perdere la sovranità monetaria sembrava un oltraggio all’orgoglio nazionale, ma in realtà fu solo apparenza. I fatti del 1992 dimostrarono che il potere sulla moneta non era già più nostro ma in mano ai mercati, e la dolorosa rinuncia alla lira è stata psicologicamente dimenticata in fretta, grazie anche ai benefici portati dall’euro.
• E i pro? Nel corso degli anni abbiamo avuto un costante, progressivo e strutturale ribasso sia dell’inflazione (siamo passati dalle due cifre abbondanti a una cifra molto vicina allo zero), sia dei tassi d’interesse. Questi ultimi hanno avuto, a cascata, molteplici effetti positivi: si pensi, per esempio, ai tassi sui mutui e sui prestiti per i consumi.
Senza contare la dura esperienza della pandemia di Covid-19 e le attuali difficoltà e incertezze connesse al conflitto tra Russia e Ucraina: possiamo solo immaginare cosa sarebbe successo ai nostri conti pubblici se l’Italia, al posto dell’euro, avesse avuto la lira. La stessa differenza, in termini di senso di sicurezza, tra vivere in una casa di mattoni o in una di paglia.



A questa Unione, però, mancano ancora molti tasselli

L’Unione Europea è nata per garantire la libera circolazione di persone e merci, e questo obiettivo è stato raggiunto. Se c’è un’altra pecca, è proprio questa: e cioè che l’Unione è ancora oggi essenzialmente limitata all’aspetto economico e monetario, mentre restano assenti i principi di unione politica, militare e sociale. D’altra parte, nemmeno Roma è stata creata in un giorno: il fascino del progetto è nel suo essere così “work in progress”. Insomma, un cantiere ancora aperto.
Il futuro tratteggiato dal professor De Cecco prefigurava per i Paesi più deboli (l’Unione Latina di cui l’Italia rischiava di diventare l’elemento di spicco) un pericolo inflattivo. Ad anni di distanza, il pericolo si sta comunque materializzando: i prezzi delle materie prime sono tutti in corale e forte aumento. Ma per nostra fortuna, quell’accordo è stato realizzato.
E ora l’Italia ha un ombrello molto più grande sotto il quale ripararsi e resistere alle tempeste.


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