Il declassamento del T-Bond

Il declassamento del T-Bond

Pubblicato il 18 giugno 2025 in Economia & Mercati

Moody's è stata l'ultima delle tre maggiori società di rating a togliere la tripla A alla pagella del credito degli Stati Uniti, un privilegio che aveva contribuito a fare del dollaro e del T-Bond due "safe haven", due beni rifugio, per gli investitori. Ora, a causa della bocciatura e del debito, tutto questo sembra essere a rischio. Ma è davvero così? Ripercorriamo gli eventi delle ultime settimane, e analizziamone insieme le relative implicazioni.


"Ai T-Bond preferisco i Bitcoin"

"Cash is trash e investire in bond è stupido". Questa dichiarazione, così tranchant, è di Ray Dalio, universalmente conosciuto come uno degli investitori più lungimiranti, oltre che fondatore di Bridgewater, l'hedge fund più grande al mondo. Ciò non vuol dire che tutto ciò che afferma Dalio sia oro colato. Di sicuro, però, rappresenta uno spunto di riflessione. Anche perché risale al marzo del 2021, epoca precedente agli attuali conflitti in Ucraina e Medioriente, al risveglio dell'inflazione e all'aumento dei tassi d'interesse, in un contesto economico post-Covid rigenerato dagli aiuti delle banche centrali e dall'enorme contributo – attraverso gli incentivi – della spesa pubblica degli Stati.

Un sollievo per imprenditori e investitori. Per contro, la preoccupazione di Dalio, andando avanti, si fa ancora più esplicita: "personalmente, preferisco avere dei Bitcoin piuttosto che dei bond"(1).


A cos'era dovuta l'avversione di Dalio?

La fonte di tanta preoccupazione era il debito USA, con le sue ripercussioni sull'indebolimento del dollaro statunitense, cui sarebbero seguite contromisure peggiorative come l'incremento delle tasse e i controlli sui capitali. Nella realtà, Dalio non poteva nemmeno immaginare che a distanza di quattro anni sarebbe arrivato Donald Trump con i dazi. E, soprattutto, con l'iniziativa di nuovi tagli fiscali attraverso il "One Big Beautiful Bill"(2), che verosimilmente sortirà l'effetto di appesantire la situazione del debito USA.

Il Committee for a Responsible Federal Budget prevede che la legge comporterà un balzo del debito pubblico pari a 3.300 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni: ciò significa che il debito pubblico statunitense, attualmente appena inferiore al livello critico del 100% del PIL, potrebbe raggiungere il 125% entro il 2034, e addirittura il 129% in caso di estensione di tutte le misure attualmente provvisorie.


Oggi è Moody's che accende un faro

L'ulteriore aggravio di deficit e debito – in una situazione che sembra già molto sfidante, con tassi d'interesse che rimangono elevati – comporta sfiducia sul dollaro USA e debolezza sui bond, proprio come Dalio aveva anticipato. Venerdì 16 maggio, poi, è arrivata la notizia: "Moody's toglie la tripla A agli USA, portando il rating a Aa1".

La decisione è storica, perché il giudizio era invariato dal 1919; ed è anche sorprendente nei tempi, perché inaspettata, ma non nei modi, visto che, delle tre più importanti agenzie, Moody's era l'unica a non aver ancora sottoposto a revisione la sua pagella.

  • Il 5 agosto 2011 è la data storica più importante: l'agenzia S&P annuncia il taglio del rating togliendo la tripla A al debito USA.
  • Il primo agosto 2023 segue Fitch.

Moody's, dunque, ha chiuso un cerchio. Come si può notare, le ultime due date (2023 e 2025) sono molto ravvicinate rispetto alla prima. Sintomo di quanto il problema si stia acuendo. Importante notare le reazioni di mercato: in tutti e tre i casi, Wall Street ha risposto con la volatilità. Diverso, invece, il comportamento del dollaro USA e dei T-Bond: composto nei primi due casi, negativo nel terzo. Un segnale di allarme?


I titoli USA e la concorrenza degli altri bond

Tutte queste decisioni, notizie, previsioni hanno un'unica preoccupante ripercussione: quella, cioè, di mettere in discussione il primato degli Stati Uniti e tutti i suoi asset, che fino a ieri erano considerati il porto sicuro. In particolare, il T-Bond, che aveva lo status di "safe haven" per tutti gli investitori del mondo.

A complicare la situazione è la recente risalita del rendimento del J-Bond a 30 anni, l'obbligazione giapponese che nei giorni scorsi ha superato la soglia del 3%. Un problema, perché le obbligazioni si fanno concorrenza sulla combo rischio/rendimento: per attrarre gli investitori, il primo deve premere verso il basso e il secondo verso l'alto. Solo i T-Bond avevano il privilegio di essere scelti a qualsiasi rendimento, perché il rischio percepito era molto basso. Quasi inesistente.

Oggi che gli USA devono affrontare un gran numero di aste per rinnovare il debito in scadenza, il T-Bond si trova a essere trattato come un titolo di Stato alla pari dei concorrenti. C'è da ricordare che questo debito è in buona parte in mano a investitori stranieri. Dei circa 38mila miliardi di dollari di stock di debito, 8 miliardi sono detenuti all'estero e così ripartiti:

  • il 25% nell'Eurozona;
  • circa mille miliardi in Cina;
  • poco più di mille miliardi in Giappone.

Cosa potrebbe succedere se i giapponesi, già storicamente affezionati al proprio debito, con i rendimenti in crescita dovessero decidere di spostare i loro risparmi dagli USA a casa propria?

Grafico dei rendimenti trentennali treasury stati uniti dal 2010 al 2025


Paracadute Trump per i rendimenti? Finora sì

All'ultima edizione del Salone del Risparmio, l'argomento asset "made in USA" è ovviamente stato uno dei temi dominanti. E sui bond qualche gestore si è esposto, definendo il limite di rendimento sul T-Bond a 30 anni come una "no fly zone". Qualche coraggioso si è sbilanciato dicendo che, tutte le volte che quel limite verrà superato, il presidente Trump (o qualcuno per lui) interverrà attraverso i media con annunci rassicuranti. In effetti, finora è stato così.


1) Fonte: Bloomberg.
2) Il “One Big Beautiful Bill” è un testo di legge di oltre mille pagine presente nel programma elettorale di Trump. È stato approvato alla Camera al primo scrutinio con un solo voto di scarto. Mentre scriviamo, deve ancora superare l’esame del Senato.


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