“Dazi sulla Cina, crollano i mercati”; “La Cina risponde ai dazi statunitensi, nuovo crollo dei mercati”. Quante volte abbiamo letto o ascoltato titoli del genere, nelle scorse settimane ma non solo? E quanto ci hanno agitati? Se si è investitori e non professionisti, l’agitazione, è ovvio, ci sta. Ma fermiamoci un momento, facciamo un bel respiro e chiediamoci: è davvero corretto parlare di “crollo” dei mercati?
“Crollo dei mercati”: cosa significa?
Quello che – non senza un certo effetto – i media e i social chiamano “crollo” è una variazione percentuale rispetto a un certo dato precedente. D’accordo, se si arriva a parlare di “crollo” è perché il calo è alquanto consistente. E ciò alimenta i titoli sensazionalistici. Qualcuno, addirittura, in questi casi cita il “bagno di sangue”. Non ce lo nascondiamo: ci sono fasi – come quella che si è aperta in concomitanza con la nuova guerra commerciale dell’amministrazione Trump – che non sono per nulla facili. Esistono però dei precedenti che ci dicono che non è affatto una situazione irreversibile.
Qualche esempio dal passato, per metterci nella giusta prospettiva. Il caso più famigerato è quello dell’ottobre 1929, quando una serie di cali segna l’inizio della Grande Depressione negli Stati Uniti e di una crisi economica globale. All’ottobre del 1987 risale il primo crollo dell’era informatica, soprannominato “lunedì nero”. La vera bolla speculativa delle nuove tecnologie scoppia però nel 2000, esattamente 25 anni fa, con ripercussioni su tutti i mercati legati alla cosiddetta “new economy”.
La crisi finanziaria, culminata nel fallimento della banca d’affari Lehman Brothers a metà settembre del 2008, provoca una nuova recessione. E poi c’è il Covid-19: pesanti cali a metà marzo 2020, dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficializzato l’avvio della pandemia.
Tanti episodi, tutti “pesanti”: eppure, è evidente la tendenza ascendente dell’indice statunitense S&P 500 (il più importante indice USA e il benchmark dell’azionario globale) nel corso dei decenni.
Cosa ci insegnano i cali del mercato azionario
Di fronte ai cali, alcuni investitori potrebbero essere tentati di scappare di corsa. Tuttavia, chi vende ora rischia di perdere il rialzo che, con tutta probabilità, arriverà poi. Come sottolinea Jack Manley, global market strategist di JPMorgan Asset Management, “un brutto sell-off di solito è seguito da un forte rimbalzo”. E solitamente più impetuoso è il sell-off, maggiore è la probabilità di un rimbalzo potente.
Una ricerca di JPMorgan AM conferma che i giorni migliori del mercato tendono a seguire molto da vicino i giorni peggiori: secondo i dati di JPMorgan relativi agli ultimi 20 anni, in totale sette dei dieci giorni migliori del mercato si sono verificati entro due settimane dai dieci giorni peggiori. Per dire: nel 2020 i mercati hanno registrato il secondo giorno peggiore dell’anno il 12 marzo, in concomitanza con l’inizio “ufficiale” della pandemia di Covid-19; il giorno successivo, hanno avuto il secondo giorno migliore del 2020.
Il che, sul piano degli investimenti, si traduce in tre semplici parole, che ogni consulente deve saper trasmettere fino in fondo ai suoi clienti: meglio restare investiti. Sempre secondo la ricerca di JPMorgan, infatti, gli investitori che mantengono la barra dritta ottengono risultati migliori.
Il grafico che vediamo qui sopra ci racconta la storia di un investitore che ha investito 10.000 dollari USA nell’indice S&P 500 il 3 gennaio 2005, lasciando i suoi soldi fermi fino al 31 dicembre 2024: ha così accumulato 71.750 dollari, con un rendimento annualizzato del 10,4%. Se invece fosse uscito perdendo i 10 giorni migliori del mercato? Avrebbe totalizzato meno della metà: 32.871 dollari, per un rendimento del 6,1%. E se i giorni fossero stati venti? Il risultato finale calerebbe ancora. Insomma, il senso è: più l’investitore fa dentro e fuori dal mercato, più manca il potenziale rialzo.
Le evidenze, dunque, dicono agli investitori di restare fermi
Peccato che i forti ribassi del mercato tendano a suscitare negli investitori l’ancestrale risposta “attacca o scappa”. In questi casi, ci si può convincere di stare fuggendo verso la sicurezza. Ma è qui che il consulente finanziario è chiamato a intervenire, modificando il punto di vista dell’investitore e facendogli notare come fino a non molto tempo fa l’S&P 500 era ai suoi massimi storici, ben sopra i 6.000 punti. Con tutta probabilità ci saranno nuovi record storici, in futuro: disinvestire durante i cali glieli farebbe solo perdere.
Dopotutto, nei 150 anni di storia del mercato azionario il genere umano ha affrontato guerre, disastri naturali, atti di terrorismo, crisi finanziarie, una pandemia globale: eppure, il mercato ha sempre recuperato, fino a nuovi massimi storici. Se l’investitore riesce a tenere a mente questo, gestire emotivamente la volatilità quotidiana diventa molto più facile.
Bisogna poi tener conto degli obiettivi che si vogliono raggiungere attraverso il denaro
Generalmente, si tratta di obiettivi a medio e lungo termine: gli studi dei figli, una casa più grande, un’attività imprenditoriale, la pensione, la protezione di sé stessi e dei cari, specialmente (ma non solo) nella terza e nella quarta età. Se si gioca nel campionato di questi obiettivi, il premio in palio è davvero molto alto, e non solo in termini economici: c’è in gioco la serenità, i progetti di vita. Una mossa azzardata può compromettere in tutto o in parte la possibilità di arrivare bene al traguardo.
E se l’obiettivo è a medio e lungo termine, rinunciare all’investimento azionario “perché è rischioso” non ha senso. Sì, è tendenzialmente più volatile dell’obbligazionario. E sì, è decisamente più rischioso della liquidità. Ma proprio per questo il rendimento potenziale è ben più corposo. La scelta migliore? Arrivare preparati alla prossima flessione, con un portafoglio ben diversificato che si adatti al proprio orizzonte temporale e alla propria tolleranza al rischio. Cogliendo magari l’occasione per valutare un ingresso sui mercati frazionato nel tempo.
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