Crisi Evergrande può far paura, ma non è Lehman Brothers
È la notte del 14 settembre, domenica. I terminali della Borsa sembrano trattenere il fiato: tutti aspettano la risposta che uscirà dalle stanze del trentunesimo piano di un palazzo newyorkese sulla Broadway. Si sta decidendo il destino della quarta banca americana. Un colosso, per capitalizzazione e storia (158 anni di vita). La situazione è molto grave. Lehman Brothers è in difficoltà e chiede aiuto. Ma sembra che nessuno la voglia salvare.
Secondo le ricostruzioni, pare che nel corso della riunione arrivi una telefonata di Cristopher Cox, allora presidente della SEC, che dice: “La vostra banca deve fallire, il governo degli Stati Uniti pensa sia meglio così”. Parole che fanno infuriare i presenti. Tutti accomunati dalla rabbia per quel governo che non mostra alcun supporto né solidarietà verso una banca che rappresenta la storia e l’immagine del capitalismo e della più importante nazione del mondo.
Il “gorilla”, stavolta, non ce la fa
Nelle ore della vigilia, Lehman Brothers è stata definita “too big to fail”, troppo grande per fallire. Un motto che in seguito sarebbe diventato un libro, scritto dal giornalista del New York Times Andrew Ross Sorkin, e in seguito pure un film. Anche le agenzie di rating fino al giorno prima hanno dato un giudizio di solvibilità. Salvo poi scoprire che nessuno è immune al rischio di fallimento, nemmeno la quarta banca più grande d’America. Molti si sono già affacciati con un’offerta: coreani, giapponesi, persino le big USA e la Barclays inglese. Ma poi, per qualche motivo, se la sono tutti data a gambe.
Per il presidente Dick Fuld, chiamato “il gorilla”, sembra non esserci più alcuna speranza. Eppure, Lehman di crisi ne ha superate molte, e anche di gravi. Come l’11 settembre quando, con la caduta della torre nord del WTC, ha visto i suoi uffici ridotti in macerie in pochi istanti. E Fuld, sempre molto determinato, in un attimo ha comprato per 700 milioni di dollari una nuova sede, trasformando in pochi giorni camere, sale d’aspetto e ristorante di un hotel nelle sale operative e negli uffici della banca.
Forse, però, stavolta la sfrontatezza e l’arroganza di Fuld sono eccessive. Battere i pugni sul tavolo non serve, anzi: spinge gli avversari a togliere di mezzo un concorrente molto scomodo.
Fine dei giochi: al via il Chapter 11
Così, il 15 settembre 2008 Lehman Brothers dichiara bancarotta. È quello che in America si chiama Chapter 11 e che si quantifica in 613 miliardi di dollari di debiti bancari, 155 miliardi di debiti in obbligazioni e 639 miliardi di asset. La più grande bancarotta della storia americana. Un crack che costa il posto a 26mila dipendenti solo negli Stati Uniti, più 6mila in Europa e oltre 100 in Italia, tra Milano e Roma.
A causare la più grande crisi finanziaria del dopoguerra sono stati i cosiddetti mutui subprime, mai veramente quantificati perché non calcolabili nemmeno da chi li ha creati.
Le altre (presunte) Lehman Brothers
Prima l’Italia e poi la Grecia, definite le Lehman Brothers degli Stati. In seguito, Brexit. Infine, l’elezione di Trump e i problemi commerciali tra Cina e Stati Uniti. In pratica, “Lehman Brothers” è presto divenuta l’etichetta con cui si bollano un po’ tutti i “cigni neri”, ossia quegli eventi il più delle volte imprevisti portatori di conseguenze anche molto serie sul sistema.
Il nuovo caso Lehman oggi si chiama Evergrande. È il colosso cinese dell’immobiliare. E, diciamolo subito, probabilmente anche stavolta si tratta di un’esagerazione.
Chi è Evergrande e cosa succede?
Evergrande è attiva in vari settori economici: per esempio è proprietaria del Guangzhou, la squadra di calcio cinese più antica e titolata. Il suo business, però, si concentra principalmente nel settore immobiliare. Se per Lehman il dissesto ammontò a oltre 600 miliardi, per Evergrande siamo sui 300 circa, ai quali però si devono aggiungere:
• passività fuori bilancio per 150 miliardi;
• una lista di creditori consistente in più di 120 banche e altrettante società finanziarie, per non parlare dei fornitori;
• milioni di famiglie che hanno acquistato appartamenti mai finiti o sottoscritto prodotti finanziari che valgono una frazione rispetto al prezzo di sottoscrizione iniziale.
Un’altra analogia sta nelle quotazioni di Borsa: all’apice del successo, Lehman Brothers raggiunse una capitalizzazione di 60 miliardi di dollari; Evergrande, nel 2017, toccò un massimo di 51.
Evergrande vs Lehman: ci sono anche molte differenze
La più importante differenza è nella struttura dei due gruppi: Evergrande possiede anche proprietà solide e reali, mentre Lehman deteneva solo attività immateriali, spesso dal valore fittizio. Evergrande, poi, è una società cinese, mentre Lehman era una banca americana. Una differenza non da poco: l’economia cinese oggi non dipende dalla finanza come quelle occidentali, perché in Cina le banche non sono private ma pubbliche, e perché in Cina il governo non permetterà che una crisi immobiliare incontrollata provochi milioni di disoccupati impoverendo famiglie che oggi intravedono la speranza di un aumento del reddito e della qualità della vita.
Alla base c’è la differenza – decisiva – tra un’economia liberista e una statalista. A volte un grave ostacolo, ma altre – come questa – un muro che può impedire a una crisi che rischia di diventare incontrollabile di tracimare.
Il giorno dopo il fallimento di Lehman, i media usarono una frase per sintetizzare il clima che si era creato: “punirne una per educarne cento”. Una frase storicamente attribuita a Mao e che, nella pratica, si è rivelata un errore. Perché il mancato salvataggio di Lehman creò il panico e scatenò una crisi che si placò solo con l’uso di misure eccezionali. Un errore che la Cina non ha alcuna intenzione di commettere.
Nel caso cinese, è prevedibile che a venire punita sarà la dirigenza e non la società, il cui fallimento metterebbe a rischio l’intero sistema economico.
Come si possono evitare queste crisi?
Non esistono formule magiche, il capitalismo si autoalimenta tramite le crisi, trasformandosi e rafforzandosi. Per salvaguardare gli investimenti, l’unica medicina efficace è la diversificazione. I fondi avranno pure registrato qualche perdita, ma con un’attenta diversificazione tali perdite (sempre momentanee) vengono sicuramente compensate dai guadagni ottenuti in altri settori.
La crisi innescata dal fallimento Lehman si è interrotta solo con il TARP, il maxipiano di salvataggio da 700 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Bush e prolungato dall’amministrazione Obama. Cui va aggiunto l’enorme intervento della Fed, con le misure di politica monetaria che hanno accompagnato la ripresa in questi 12 anni di espansione post crisi 2008.
È molto probabile che, in caso di esacerbamento della crisi Evergrande, il governo di Xi Jinping e la Banca Popolare Cinese decidano interventi straordinari, emulando quanto fatto in precedenza in Occidente.
Come insegna da decenni il fondatore di Banca Mediolanum Ennio Doris, è proprio quando i prezzi cadono che si creano le grandi occasioni. Fu così nel 2008 e probabilmente sarà così in Cina, un’economia che non può permettersi di fallire.
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