È la Francia (e non più l’Italia) la nuova malata d’Europa? Così sostengono, in modo più o meno esplicito, moltissime testate giornalistiche nazionali e internazionali. Un’ipotesi che, in Italia, non manca di accompagnarsi a un certo senso di rivalsa verso i cugini d’Oltralpe, oggi alle prese con una crisi economica e politica che sta facendo traballare i titoli di Stato e che riporta alla mente l’estate del 2011, quando lo spread tra BTP italiano e Bund tedesco schizzò oltre i 500 punti, determinando la caduta del governo Berlusconi.
Ripensando a quell’epoca, sembra quasi impossibile che oggi la differenza di rendimento tra titolo decennale italiano e omologo tedesco sia sullo stesso livello dello spread tra decennale francese (OAT) e Bund di pari durata.
Cosa sta succedendo in Francia?
Qualcosa ha iniziato a incrinarsi nell’estate del 2024, quando il presidente Emmanuel Macron ha deciso di indire elezioni anticipate dopo il buon esito dell’estrema destra alle consultazioni europee per il rinnovo del Parlamento comunitario. Il risultato? Un’assemblea nazionale frammentata, che ha portato all’avvicendarsi di cinque primi ministri in meno di due anni.
Al di là delle vicende politiche, dietro l’instabilità istituzionale francese c’è un grosso problema di sostenibilità finanziaria. La Francia è alle prese con un deficit pubblico pari al 5,8% del PIL (nel 2024)1 e con un debito nazionale di 3.300 miliardi di euro, che corrisponde al 115,8% nel rapporto con il PIL (al secondo trimestre 2025)2: è il terzo rapporto debito/PIL più alto nell’area euro, dopo quello di Grecia e Italia. Per riportare il deficit entro i parametri europei del 3% servirebbero tagli alla spesa estremamente impopolari, che nessun governo è riuscito finora a far accettare.
L’attuale primo ministro Sébastien Lecornu – al suo secondo incarico, dopo che il primo tentativo di formare un governo è fallito in 14 ore – ha dovuto trovare un compromesso politico, rinviando la riforma delle pensioni alle elezioni presidenziali del 2027: una mossa che potrebbe dare stabilità politica al Paese nel breve periodo, ma che di fatto sposta solo in avanti l’ineluttabile risanamento dei conti pubblici.
Una sfilza di downgrade per Parigi
A mettere nero su bianco la situazione di difficoltà in cui versa Parigi sono arrivati i downgrade delle principali agenzie di rating.
• Fitch a settembre ha declassato il merito creditizio ad A+ da AA- (con outlook “stabile”), citando fra le motivazioni l’elevato debito e la frammentazione politica, che rende difficile il consolidamento fiscale.
• A ottobre, a sorpresa, si è espressa anche S&P Global Ratings, con un downgrade ad A+/A-1 dal precedente AA-/A-1+: l’agenzia – il cui verdetto era inizialmente atteso per fine novembre – ha parlato di instabilità politica e incertezze fiscali e prevede che il rapporto debito/PIL salirà al 121% entro il 2028, mentre il deficit si ridurrà solo gradualmente al 5,4% nel 2025.
• Venerdì 24 ottobre Moody’s ha confermato il suo Aa3, ma ha rivisto l’outlook da “stabile” a “negativo” alla luce dei rischi crescenti legati alla frammentazione politica, che potrebbero ostacolare la capacità del Paese di contenere il deficit.
I mercati, però, guardano altrove
Al netto di una transitoria turbolenza nel momento più acuto della crisi politica – con il fallimento del primo tentativo di governo Lecornu – i mercati azionari non sembrano essersi agitati più di tanto per le difficoltà francesi, concentrati come sono su altri grandi trend ed eventi, primi tra tutti l’Intelligenza Artificiale e la stagione delle trimestrali.
Qualche segnale di allarme in più si è visto, come accennato, sul mercato obbligazionario. Con i downgrade, la Francia ha perso la sua doppia A presso due delle tre maggiori agenzie di rating in poco più di un mese e questo potrebbe innescare vendite di OAT da parte di fondi con criteri particolarmente stringenti sul merito creditizio dei titoli di Stato. Vale per alcune istituzioni pubbliche estere (tra cui i gestori delle riserve delle banche centrali) e per alcuni fondi pensione (che privilegiano attività con rating molto elevato).
Ci sta che anche il sentiment degli investitori ne stia risentendo. Ma, detto ciò, va tenuto presente che la grande maggioranza dei detentori di obbligazioni francesi potrà continuare ad acquistare il debito anche dopo il declassamento. Il rating resta infatti saldamente nella fascia Investment Grade, la più solida e la più comune nei criteri dei fondi obbligazionari.
Gli assi nella manica della BCE
Secondo molti analisti, poi, è improbabile che la Francia vada incontro a una spirale discendente come quella che nel 2011 interessò il BTP (e si arrivò addirittura a parlare di default del debito pubblico italiano). Il motivo? Semplice: oggi la BCE dispone di una vasta gamma di strumenti per bloccare sul nascere la speculazione. Fra le altre cose, può attivare il Transmission Protection Instrument (TPI), acquistando sul mercato secondario i titoli emessi da Paesi dell’Eurozona che presentino un deterioramento delle condizioni di finanziamento.
Dalla parte di chi investe: cosa fare?
Pur ammettendo che potremmo andare incontro a una fase di volatilità, dovuta alle difficoltà domestiche della Francia e non solo, per chi investe ha senso continuare a monitorare la situazione ma senza perdere di vista gli obiettivi di lungo periodo, che dovrebbero guardare oltre le turbolenze di breve respiro, nell’ottica di un’equilibrata pianificazione e diversificazione.
1) https://www.cnbc.com/2025/10/08/nerves-jangle-in-europe-as-france-heads-into-another-political-crisis.html
2) https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-euro-indicators/w/2-21102025-bp
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