Bruxelles alza il velo sul Recovery Fund
Un nuovo strumento si aggiunge all’arsenale messo in campo dalle istituzioni europee per sostenere Paesi e settori messi in ginocchio dalla crisi economica scaturita da quella sanitaria. A fine maggio la Commissione Ue ha infatti presentato ufficialmente la proposta per l’attesissimo Recovery Fund che, almeno sulla carta, supera le più rosee aspettative: prevede infatti una potenza di fuoco da 750 miliardi di euro per sostenere i Paesi e i settori più duramente colpiti, di cui 500 miliardi di euro in finanziamenti a fondo perduto e 250 miliardi di prestiti da restituire. E all’Italia andrebbe la fetta più consistente, con uno stanziamento di 172,7 miliardi di euro: 82 miliardi sotto forma di aiuti e 91 miliardi come prestiti. Ma è ancora presto per festeggiare: il piano deve passare al vaglio dei governi dei Paesi membri, con i Paesi cosiddetti frugali – Austria, Danimarca, Svezia e Olanda – che si oppongono ai trasferimenti a fondo perduto e chiedono solo prestiti vincolati ad austerità e a un duro piano di riforme più vicino a quello greco. Per arrivare a un accordo ci vorrà ancora qualche mese.
Si tratta sul Mes
In attesa che il Recovery Fund arrivi a una versione definitiva – comunque l’erogazione dei fondi non partirà prima del 2021 – in Italia si continua a valutare se avvalersi o meno del Meccanismo europeo di stabilità, più semplicemente noto come Mes, uno strumento che è stato al centro delle cronache di tg e giornali negli ultimi mesi. Non è un caso, perché i Paesi membri dell’Unione europea hanno intenzione di utilizzarlo all’interno del ventaglio di strumenti per affrontare la crisi economica indotta dalla pandemia di coronavirus. Più nel dettaglio, l’Eurogruppo in aprile aveva trovato una convergenza su una riforma del Mes, che diventerebbe, per l’appunto, il nuovo Mes. Questa proposta permetterebbe a ciascun Paese membro dell’area euro di richiedere, per un ammontare massimo pari al 2% del suo prodotto interno lordo, un prestito a condizioni molto agevolate. Per intenderci: l’Italia potrebbe accedere a oltre 35 miliardi di euro, con l’unico vincolo che queste risorse siano impiegate per le spese sanitarie. Il Mes è già stato chiamato in causa per la risoluzione di crisi precedenti, con effetti che per alcuni sono stati controversi. Anche a causa di questo retaggio del passato, il dibattito sullo strumento è tuttora in corso nelle sedi europee.
Un fondo salva stati dalla dotazione di 700 miliardi di euro
Il Mes, chiamato anche fondo salva stati, è stato introdotto da un trattato intergovernativo firmato dai paesi dell’area euro il 2 febbraio 2012. Prima di lui, esistevano il Fondo europeo di stabilità finanziaria e il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria. Il Mes è di fatto un’organizzazione, con sede in Lussemburgo, di cui sono azionisti tutti i paesi dell’eurozona. La sua dotazione complessiva è di 700 miliardi di euro. Di questi, 80 miliardi sono versati direttamente dagli stati membri in base alla loro importanza economica (l’Italia contribuisce per il 17,9%, poco più di 14,3 miliardi di euro). La parte più grande, circa 620 miliardi di euro, è invece raccolta sui mercati. Ossia attraverso strumenti di debito, con i quali il fondo completa il suo arsenale di risorse da destinare sotto forma di prestiti (o altre forme di assistenza) a tutti i paesi contraenti che ne facciano richiesta a fronte di difficoltà di tipo finanziario presenti o, comunque, probabili.
Il retaggio del passato nel dibattito europeo
I prestiti, tuttavia, non vengono concessi senza condizioni. Il Paese che ne fa richiesta deve prima sottoscrivere un protocollo d’intesa, con il quale s’impegna a riequilibrare il proprio bilancio e a intraprendere riforme strutturali. In passato, hanno beneficiato dei fondi del Mes e dei suoi predecessori diversi Paesi, tra cui Spagna, Portogallo, Cipro e Irlanda. Ma il caso più famoso rimane quello della Grecia. Il Paese ellenico, infatti, ha attraversato una durissima crisi economica e ha ricevuto in prestito denaro per salvarsi da un default che pareva certo. Per ottenerlo, tuttavia, ha dovuto varare importanti riforme strutturali e tagli di spesa pubblica, talvolta non indolori per la popolazione. Per questo una parte rilevante dei Paesi europei, tra cui l’Italia, ha giudicato non adeguato un simile strumento per affrontare la crisi economica in atto.
Il nuovo Mes e il ruolo della Bei
Si ritorna, dunque, all’ultima intesa raggiunta lo scorso aprile nelle sedi europee. Il nuovo Mes, nelle premesse, non richiederà impegni particolari per ottenere il denaro in prestito né alcun vincolo, se non che i soldi siano impiegati per affrontare le accresciute spese sanitarie. Oltre a questo nuovo e riformato strumento e al già citato Recovery Fund, l’Unione europea ha messo in campo un’altra istituzione: la Bei, la Banca europea degli investimenti, che avrà il compito di sbloccare 200 miliardi di prestiti alle piccole e medie imprese europee.