I container viaggiano per il mondo
L’economia globale si è incamminata, finalmente, su un sentiero di crescita. La disoccupazione è in costante calo - negli Stati Uniti addirittura sta raggiungendo i livelli record degli anni Novanta - l’export e l’interscambio mondiale sono attivissimi, tutti i settori - dai servizi al manifatturiero - sono in accelerazione e questo accade con tassi d’interesse ancora a livello zero o poco sopra. In pratica, stiamo correndo senza venti contrari. Anzi: grazie alla politica monetaria ancora favorevole, corriamo con il vento in poppa.
Anche la microeconomia, cioè l’attività delle imprese, lancia segnali incoraggianti. A farci essere ottimisti non sono solo i fatturati, che tutto sommato sono specchio del passato, ma l’indicatore degli ordinativi, che già nel primo trimestre segna il tutto esaurito. Le aziende lavorano a pieno ritmo e sono pronte a superare la crescita del 2017, un anno già decisamente positivo.
L’Italia non fa eccezione, i numeri parlano chiaro. Eppure, sul nostro Paese torna ad agitarsi lo spettro della crisi, che questa volta assume le sembianze della possibile uscita dall’area euro.
Gli elementi ci sono tutti: lo spread sale, la situazione delle banche spaventa, Piazza Affari crolla, le società di rating mordono, l’Europa si lancia in battute fuori luogo, la stampa estera ci deride.
Davvero vogliamo perdere quest’occasione di prosperità per il dibattito sull’uscita dall’euro?
Il problema principale è che le continue illazioni sul tema, in un’Italia alle prese con un nuovo governo, rischiano di minare la fiducia. E la fiducia è l’architrave su cui si regge l’intero sistema economico, di produzione, di scambio e di investimento. Perdita di fiducia e paura possono trasformare, insomma, delle semplici illazioni in convincimenti e, in definitiva, in realtà.
Smontiamo allora, una per una, le illazioni che riguardano l’Italia e la sua possibile uscita dall’euro.
Tanto per cominciare, il paragone tra il nostro Paese e la Grecia del 2015 non regge: è decisamente poco realistico, non fosse altro che per la dimensione del nostro Paese. Siamo la seconda manifattura del continente e siamo tra i primi 10 Paesi industrialmente più importanti al mondo, senza considerare la mole di risparmio nelle tasche degli italiani. Inoltre, ai tempi della crisi ellenica del 2015 la Grecia era uno Stato e un’economia in pesante crisi economica, mentre l’Italia oggi non lo è, e questo non è un particolare di poco conto.
Per la prima volta in un decennio il nostro debito pubblico comincia a scendere, la spesa corrente è stata tagliata e il surplus di bilancio prima del pagamento degli interessi resta tra i più alti d’Europa.
Non solo. Nei prodotti industriali e agricoli l’avanzo è stato di ben 56 miliardi, l’export è in costante accelerazione, tanto da aver superato quello tedesco, e il made in Italy per la prima volta ha venduto fuori dall’Europa più del made in France. Continuando di questo passo, l’Italia, da debitore, è in grado di diventare un creditore netto nei confronti dell’economia internazionale.
Certo, i problemi cronici rimangono sul tavolo, ma la crisi è tutt’altra cosa. Noi siamo positivi sull’economia globale e su quella italiana. La crescita è davanti a noi, basta saperla cavalcare.