06 maggio 2021

Verso un’Europa più forte. Prossima tappa? Condivisione del debito

Pubblicato in: Economia & Mercati

“L’ombrello europeo calma i nervi degli investitori”: questo il titolo di un articolo pubblicato sul quotidiano Il Sole 24 Ore nel luglio del 2011. Vi si racconta la calda estate della crisi del debito europeo, un’estate che poche settimane dopo, soprattutto per l’Italia, sarebbe diventata rovente. L’“ombrello” è di circa 76 miliardi di euro: la BCE guidata dal francese Jean-Claude Trichet li usa per comprare titoli di Stato di provenienza greca, portoghese e irlandese, ripristinando la stabilità dei prezzi sul mercato secondario e placando il nervosismo degli investitori e la fame degli speculatori.

Niente più dei numeri può far capire come sia cambiato l’atteggiamento dell’Europa e della BCE. Oggi la Banca Centrale Europea di Christine Lagarde si è dotata, con il programma PEPP, di ben 1.850 miliardi di euro, e in caso di necessità è pronta a utilizzarli tutti.



Dieci anni fa, l’inizio della svolta

Ma torniamo al 2011. Sono trascorsi quasi tre anni dallo scoppio della grande crisi finanziaria, causata principalmente dal problema della gestione dei mutui subprime che ha avuto come epicentro gli Stati Uniti. E mentre gli Stati Uniti ricominciano a camminare spediti, l’Europa, che quella crisi finanziaria l’ha principalmente subita, è alle prese con alcuni Stati in difficoltà, in diversi casi gravati dal peso di un debito monstre, una variabile economica che già da tempo ne frena la crescita.

Gli Stati Uniti hanno superato la crisi del 2008 perché di fronte alle difficoltà i 50 Stati, malgrado le loro differenze, agiscono come un’unica entità. Cosa che assolutamente non si può dire dell’Unione Europea: qui, di fronte alle sfide, tendono a riemergere gli interessi nazionali. Così è anche nel 2011, tanto che a un certo punto si arriva addirittura a mettere in discussione il progetto stesso di Unione Europea e di Euro, inteso come moneta unica.

Nel 2011 il primo focolaio è in Grecia, ma il contagio si espande presto in tutta l’Europa meridionale, creando una divisione tra nord “forte” e sud “debole”. E la politica europea cosa fa? Accentua divari, differenze e diffidenze facendo la felicità della speculazione, che punta proprio sull’implosione dell’Europa.



Ma per fortuna c’è la BCE

Rimane la Banca Centrale Europea la quale, con poteri limitati, tenta di contenere i danni di quella crisi attraverso un’iniezione di liquidità da 76 miliardi di euro. Un bicchier d’acqua contro le fiamme: si parla di PIGS, acronimo di Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, i Paesi con il più alto debito che pur facendo parte dell’Europa sembrano esclusi dalla politica e dagli aiuti europei. Poche settimane dopo, in piena estate, una banca tedesca scarica sul mercato una grande quantità del nostro debito. Si apre poi una crisi di governo. E gli italiani imparano a familiarizzare con la parola “spread”, fino a quel momento sconosciuta.

Sono ore, giorni, settimane e mesi di sacrifici. Sforzi che però non sono vani, perché danno corpo a soluzioni e nuove personalità. Una su tutte Mario Draghi che, diventando presidente della BCE, può dall’interno intervenire sui dogmi eccessivi che imbrigliano l’azione dell’istituto.



L’era Draghi e il “costi quel che costi”

Con l’ormai arcinoto “whatever it takes”, Draghi agevola la nascita dei Quantitative Easing a marchio europeo. Una rivoluzione che inizia nel novembre del 2011, il momento di massimo dolore per l’Europa, e che viene messa in pratica nel 2015, quando Draghi dà il via al primo QE europeo: si parte a marzo, durata di 18 mesi e acquisti di titoli di Stato per 60 miliardi al mese.



Roma non è stata costruita in un giorno, e neppure l’Europa. Grazie a Mario Draghi, le lunghe nottate di discussione a Bruxelles non sono tempo perso: viene adottato un nuovo modo di affrontare le crisi, più efficace, snello e meno doloroso.

Il risultato di questa evoluzione è ciò che vediamo all’opera nella nuova crisi generata dalla pandemia di Covid-19: sotto la guida di Christine Lagarde, oggi la potenza di fuoco è di ben 1.850 miliardi. Un bel salto di qualità rispetto ai 76 miliardi dell’estate 2011.

Oggi la Bce è pronta a tutto pur di difendere la stabilità e l’economia dell’Unione Europea. L’Europa ha ora una squadra più forte, con una difesa solida, a cui stavolta si aggiunge un reparto d’attacco composto dalla politica, non più reticente e notarile come nel 2011, perché oggi per affrontare la crisi Covid ha messo sul piatto il Recovery Plan.



E non finisce qui

Secondo uno studio di Bloomberg, nel mondo in tempo di Covid sono stati accumulati 2.900 miliardi di dollari non spesi in eccesso rispetto a tempi “normali”. Per capire le dimensioni di questo non speso, basti pensare che equivale a 1,3 volte il PIL italiano. Circa la metà è negli States, un sesto nelle quattro maggiori economie dell’area euro: dunque noi siamo compresi. Si tratta di un accumulo per eccesso di prudenza: c’è quindi da aspettarsi che, una volta superata la paura, questo “tesoretto” diventerà un’ulteriore risorsa.

Ma le belle notizie per il nostro continente non sono terminate, perché alla nuova struttura che è stata data alla BCE si aggiunge un progetto ancor più audace e lungimirante, una proposta che arriva ancora da Mario Draghi, questa volta nelle vesti di presidente del Consiglio italiano: la condivisione del debito, con l’obiettivo di emettere un titolo di Stato unico per tutta l’Europa per attirare capitali utili allo sviluppo dell’Europa nel suo insieme.

Dieci anni fa il debito era ben diviso e distinto da Stato a Stato, ognuno con il suo rating, che simboleggiava un po’ la classe sociale di appartenenza: in alto i Paesi del nord, in basso i Paesi del Mediterraneo. L’unione era utopia. Oggi stiamo intraprendendo quel percorso che tende ad avvicinare i due estremi.

L’Europa è un continente più stabile e forte, con un potenziale di rivalutazione e crescita molto più alto rispetto agli ultimi decenni. In più, le valutazioni dei titoli europei sono ancora sensibilmente più basse in confronto all’America: il rapporto prezzo/utili futuri dell’indice Stoxx è attorno a 17, contro il 22 e oltre dell’S&P 500, con uno sconto di circa il 24% più alto della media storica.

È finalmente arrivato il momento dell’Europa?



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