14 ottobre 2018

Guadagni e perdite: come li vede l’investitore?

Pubblicato in: Vademecum

Ormai l’avrete capito: l’investitore che assistite nelle scelte di asset allocation e nella gestione del portafoglio tutto è fuorché un animale razionale. Facile all’euforia nei periodi in cui i mercati vanno su e altrettanto facile preda della più acuta apprensione quando invece danno segnali di ripiegamento. Nell’interagire con lui (o lei), quindi, possedere almeno i rudimenti di finanza comportamentale è importante tanto quanto avere le conoscenze e le competenze tecnico-normative necessarie per offrire consulenza. 

Cosa scatta nella testa di un investitore di fronte ai guadagni e alle perdite?
Saperlo è il primo passo per gestire al meglio i segni più e meno delle performance di un portafoglio.


Se ce l’ho in portafoglio, vale di più

Partiamo da due fattori, entrambi di natura squisitamente psicologica.
Il primo riguarda il valore che noi attribuiamo alle cose, che è maggiore se noi le possediamo.
Facciamo l’esempio tipico della casa: quando siamo noi a vendere l’abitazione di cui siamo proprietari tendiamo a chiedere un prezzo più alto di quello di mercato o di quello che noi stessi saremmo disposti a pagare se toccasse a noi comprarla. Ciò vale anche per altri tipi di investimento, come quello azionario. Questo “bias” ha un nome: si chiama endowment effect.

Il secondo fattore, anche questo ben presente negli studi di finanza comportamentale, fa sì che una perdita produca più sofferenza di quanta soddisfazione riesca a suscitare un guadagno dello stesso importo. Proprio così: una perdita di denaro pari a 10 crea una sofferenza psicologica maggiore rispetto al beneficio di un guadagno anch’esso pari a 10. Ma attenzione: gli studi in materia mostrano come all’aumentare del profitto il beneficio che noi traiamo salga fino a stabilizzarsi. Superato quel punto, continua sì a crescere, ma a un ritmo sempre più contenuto. È come se, dopo un po’, ci abituassimo a guadagnare.


Dopo un po’ si crea assuefazione

E in caso di perdite? Man mano che ci allontaniamo dal cosiddetto reference point, che è il nostro punto di partenza, al quale facciamo riferimento appunto per valutare la consistenza dei nostri guadagni o delle perdite (e che quindi corrisponde al nostro “gruzzolo” iniziale), la sofferenza continua a crescere, ma in maniera via via più modesta. Come a dire: all’inizio è brutto, ma poi facciamo il callo anche alle perdite. Questo spiega anche perché siamo disposti a giocarci “il tutto per tutto” proprio nel momento in cui ci rendiamo conto di stare perdendo molto. Non che questa sia una scelta saggia. Se ci pensiamo, è l’atteggiamento tipico del giocatore di poker che accetta un’ultima mano proprio per giocarsi il “tutto per tutto”: se perde, la sofferenza non è lacerante come all’inizio della partita, ma se vince ripiana le perdite e ci guadagna anche una grandissima soddisfazione. Si tratta di un meccanismo psicologico che, in situazioni analoghe, può scattare in ognuno di noi. Certo, non per questo è un meccanismo sano. Ma sapendo tutto ciò, cosa può fare un consulente finanziario? Innanzitutto, lavorare sulla “cornice”.


Una questione di “cornice”

Il modo in cui date un messaggio al vostro cliente è importante. Al tema hanno dedicato uno studio – arrivando a formulare la “Teoria del Prospetto” – gli psicologi Daniel Kahneman, che ha ricevuto il Nobel per l’Economia nel 2002, e Amos Tversky. Le loro conclusioni confermano la nostra premessa: l’investitore non è un animale razionale. Dagli studi condotti dai due autori, emerge anzi come il suo comportamento violi sistematicamente il principio della razionalità. Colpa anche del cosiddetto “effetto framing”, o “effetto cornice”: ovvero, due messaggi con lo stesso contenuto ma presentati in cornici diverse hanno un impatto diverso sui processi di giudizio e decisione. I due psicologi condussero un esperimento a riguardo, noto come l’“Asian Disease Problem” o problema della malattia asiatica. Trasmettendo un messaggio in cui prevalevano gli elementi positivi, i partecipanti si orientavano verso una risposta di tipo certo, al contrario preferivano una soluzione di tipo probabilistico. Insomma, il modo in cui un problema viene presentato, il “frame”, condiziona la decisione. Vale anche quando proponete una riallocazione del portafoglio, con chiusura delle posizioni in perdita e acquisto di altri titoli.


NOTA DI REDAZIONE : gli argomenti, le immagini e i grafici sono frutto di elaborazione interna.

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