05 dicembre 2022

Cigni neri e dove trovarli: la politica influenza davvero i mercati?

Pubblicato in: Economia & Mercati

L’8 novembre 2016 fu, per i mercati, uno di quei giorni da fiato sospeso. Negli Stati Uniti d’America gli elettori si stavano recando alle urne per eleggere il loro nuovo presidente. Ambivano all’ingresso nello Studio Ovale Hillary Clinton e Donald Trump. Una vittoria da parte di quest’ultimo era vista dagli investitori come una sciagura. Nei giorni precedenti i media non avevano parlato d’altro e le preferenze apparivano molto chiare: quando i sondaggi davano Clinton in vantaggio, le Borse salivano; quando recuperava Trump, scattava la pioggia di vendite.
Il 9 novembre accade l’impensabile: nei primi exit poll dopo la chiusura dei seggi Trump sembrava avere più di una possibilità di vittoria. E subito i media diffusero il più classico dei titoli: “Trump vince le elezioni, è il cigno nero per i mercati”. Cosa intendevano dire? “Cigno nero” è un’espressione coniata da Nassim Nicholas Taleb, matematico e filoso libanese, autore del bestseller “Il cigno nero”, divenuta negli anni di uso comune: identifica gli eventi rari, di grandissimo impatto e prevedibili solo a posteriori, come l’invenzione della ruota. Eventi “disruptive”, diremmo noi oggi.


L’elezione di Trump fu un “cigno nero”?

Sulle prime, sembrò esserlo. Tokyo, la prima Borsa ad aprire, sprofondò subito nell’inchiostro rosso: vendite a raffica che si diffusero in tutta l’Asia. Stesso copione per l’Europa: l’ordine fu quello di vendere. Nemmeno i futures su Wall Street promettevano nulla di buono. Giù anche il dollaro e tutte le obbligazioni dei Paesi più a rischio, Italia compresa. I mercati avevano scommesso tutto sulla vittoria di Hillary Clinton e la sua sconfitta a favore di Trump veniva vista come il cigno nero finanza, foriero di catastrofe.

Poi, all’improvviso e sempre nello stesso giorno, tutto cambiò. Wall Street, partita dai minimi, innescò un portentoso quanto inaspettato recupero, permettendo anche alle Borse europee di arrivare in chiusura di giornata con il segno più. Risultato finale? Dow Jones +0,9 punti percentuali (ai massimi di giornata), Nasdaq +0,8%, Francoforte +1,56%. Solamente il Nikkei chiuse con un segno meno pesante (-5%), ma a causa di una reazione a caldo. A mente fredda, i mercati avevano capito che con Trump presidente non sarebbe cambiato nulla.
Poi, nei quattro anni di presidenza Trump, abbiamo assistito a uno dei cicli più floridi per Wall Street, con rialzi inframezzati solo da brevi pause. Un ciclo conclusosi con la pandemia. Questa, sì, un vero cigno nero.


La teoria del cigno nero: la politica influenza davvero i mercati?

A questa domanda prova a rispondere lo studio “La Borsa torna a fare i conti con la politica”, di Intermonte. Lo studio evidenzia come negli anni Novanta quanti seguivano il mercato azionario dedicassero particolare attenzione all’analisi politica, in particolare a quella dell’Italia. Tanto che alle azioni del nostro Paese veniva applicato uno sconto dovuto al rischio connesso proprio all’instabilità politica.
Tutto è cambiato con l’avvento dell’euro, quando le competenze su molte materie di natura economica sono passate sotto la supervisione di enti e istituzioni sovranazionali, spostando l’attenzione da Roma a Bruxelles e Francoforte, diventati centri decisionali. Un cambiamento visto come fonte di una maggior tutela: questa idea ha tentennato solo durante la crisi della Grecia e successivamente con la Brexit.
Ora, è vero che sui mercati gli eventi inaspettati sono sottoposti a un maggior grado di ponderazione, anche alla luce delle continue impennate della volatilità. Ma bisogna tener conto di questo: se il 2016 dal punto di vista politico è stato un anno pieno di insidie generatrici di eventi potenzialmente destabilizzanti – dalla Brexit alle elezioni spagnole a rischio indipendentismo, dalla vittoria di Trump alla sconfitta del referendum di Renzi – per i mercati è stato un anno sereno con ottimi rendimenti.
Un +13% per il Dow Jones, un +7% per il Nasdaq e per Francoforte, persino Londra, luogo del “misfatto” Brexit, chiuse in positivo con un +16%, tra le migliori. Solamente Piazza Affari deluse con un -10%, ma dopo un recupero da un -30%.


L’intervento delle banche central

I timori per l’effetto destabilizzante degli eventi politici furono sterilizzati in poco tempo grazie al prodigioso e salvifico intervento delle banche centrali. Qualcosa del genere è accaduto nella recente esperienza governativa inglese: Liz Truss, primo ministro arrivato al potere proponendosi come nuova Thatcher, nei fatti e nel programma politico ha riportato alla mente Ted Heath, primo ministro nel 1971, che con la ricetta della “dash for growth”, attuata con pesanti tagli a tasse e welfare, fece esplodere il debito.
Quel periodo degli anni Settanta viene ricordato per il pericolo inflazione, argomento oggi di nuovo centrale, e come allora anche oggi scelte imprudenti rischiano di creare crisi ingestibili. Per questo la Banca d’Inghilterra è entrata in campo, richiamando la politica a una precisa assunzione di responsabilità. Al posto di Truss alla fine è arrivato Sunak, un politico più moderato.
Insomma: in un mondo economico che ormai tende ad autoregolamentarsi, le banche centrali sono il pompiere che interviene ogni volta che la politica appicca un incendio.


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