29 luglio 2020

Banche centrali, le nuove star mondiali

Pubblicato in: Economia & Mercati

Negli ultimi otto anni – dall’ormai famoso “whatever it takes” di Mario Draghi – il ruolo del banchiere centrale come salvatore dell’economia è diventato sempre più popolare. E oggi i toni non sono tanto diversi da allora, con l’attuale presidente della Bce Christine Lagarde che promette misure imponenti in caso di necessità.

Eppure, in passato il mestiere del banchiere centrale doveva essere essenzialmente noioso - silenzioso, lontano dalle luci della ribalta. Erano altri tempi. Oggi viviamo momenti in cui la comunicazione è quasi più decisiva dei fatti, o meglio ne è un’anteprima che definisce l’efficacia delle azioni. E Draghi questo l’aveva capito.

 

Numeri contrastanti? Solo in apparenza

È da queste considerazioni che si deve partire per capire l’attuale situazione dei mercati, dove a una condizione economica tutt’ora debole fanno da contraltare dei numeri sui mercati che si possono dire stratosferici se non incredibili - almeno a una lettura distratta e superficiale, perché in realtà sono giustificati da diverse motivazioni.

Solo pochi dati per contestualizzare il presente: l’indice Nasdaq veleggia in testa con un +43,61% di recupero dai minimi di marzo, seguito dal 43,29% del Dax di Francoforte, dal 36% del Nikkei di Tokyo. E percentuali simili segnano anche l’S&P500 (l’indice più importante al mondo), l’Eurostoxx e il Cac di Parigi, fino al +28% di Milano.

A fare da contraltare a cotanto entusiasmo ci pensano le cifre recentemente diffuse dal Fondo Monetario Internazionale, che vede un Pil globale in contrazione del 4,9% nel 2020: -10% l’Europa, -8% gli Usa, +1% la Cina, unica economia con il segno + davanti al dato sulla crescita economica.

Ma l’Fmi regala anche numeri incoraggianti: per il 2021 il Pil è visto in ripresa con un rimbalzo del 5,4%. Un numero che, secondo diversi economisti, basta da solo a giustificare l’attuale effervescenza delle borse, in linea con l’antico adagio secondo cui i mercati anticipano sempre l’andamento dell’economia.

 

Il “merito” è delle banche centrali

Esiste però un’altra motivazione: l’impressionante lavoro prodotto negli anni da Mario Draghi, un lavoro che negli ultimi mesi è diventato corale, coinvolgendo tutte le principali banche centrali del mondo, e che ha scatenato un fiume di denaro che da marzo a oggi, solo per Bce, Fed e Banca del Giappone, è quantificabile in 19,1 trilioni di dollari. Cifre impensabili fino a qualche tempo fa, come era impensabile che per il cittadino comune il governatore diventasse protagonista quanto e più di un capo di governo politico o di una rock star.

Un fiume di liquidità a cui si aggiungono tra l’altro misure ancor più straordinarie, come l’acquisto di titoli pubblici anche declassati a livello di rischio, o come ultimamente annunciato dalla Fed, un programma di acquisti da ulteriori 750 miliardi di dollari per comprare obbligazioni societarie, una misura che serve a sostenere il debito privato.


La politica fiscale (finalmente) batte un colpo

Oggi però, con una pandemia che ha colpito il mondo in ogni latitudine e longitudine, la politica monetaria da sola non basta più: ci vuole l’intervento di quella fiscale, che sembra svegliarsi da un torpore durato troppi anni.

In questo senso il Recovery Fund, ribattezzato “Next Generation Eu” è sicuramente un passo necessario da compiere. Se a questo aggiungiamo che il rendimento del titolo di Stato Usa a 10 anni nel 2009 era a 2,89%, mentre a marzo di quest’anno ha toccato il livello minimo di 0,54%, comprendiamo bene che non solo il mercato azionario è l’unica strada per trovare un rendimento, ma che tutte le forze, monetarie e fiscali, stanno premendo in quella direzione, rendendo l’investimento un luogo virtuoso.

 

 


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