22 febbraio 2021

Le banche centrali nel 2021: cosa dicono (e che cosa faranno) Fed e Bce

Pubblicato in: Economia & Mercati

Le banche centrali hanno svolto – e a dire il vero stanno ancora svolgendo – un ruolo cruciale nella gestione della crisi economica scaturita dalla pandemia da Covid-19. Di fronte all’emergenza, gli istituti centrali a ogni latitudine hanno messo mano senza esitazione al loro arsenale: Fed e Bce in primis hanno acquistato titoli pubblici e privati, mettendo a disposizione un mare di liquidità per sostenere Paesi, imprese e famiglie.


Per fronteggiare la crisi, hanno dovuto accantonare i programmi di normalizzazione che avevano avviato dopo più di un decennio di interventi straordinari volti ad arginare gli effetti della crisi del 2008-2009. Così, invece di dirigersi verso la tanto decantata “nuova normalità”, le banche centrali hanno iniziato un nuovo periodo di politiche monetarie espansive che stanno facendo ulteriormente lievitare i loro bilanci. Basti pensare che, sommando le attività di Fed, BoJ, PboC e Bce, si è passati da meno di 5 miliardi di dollari nel 2007 a 28,6 miliardi di fine dicembre 2020. Cosa aspettarsi per il nuovo anno?


Bce pronta a tutto

Nella riunione del 21 gennaio 2021 la Bce ha confermato i tassi d’interesse e la dotazione e la durata del programma anti-pandemico PEPP, con risorse finanziarie totali di 1.850 miliardi di euro almeno fino alla fine di marzo del prossimo anno e, in ogni caso, “finché non riterrà conclusa la fase critica legata al coronavirus”. Per quanto riguarda il Quantitative Easing, gli acquisti andranno avanti al ritmo di 20 miliardi di euro al mese.


Nella conferenza stampa che come di consueto ha fatto seguito alla riunione, la presidente Christine Lagarde ha ribadito l’intenzione di fare ricorso al programma di acquisti anti-pandemia fino appunto al marzo del 2022, anche se lo strumento potrebbe non essere utilizzato interamente. Ma ha anche sottolineato come la pandemia metta ancora a rischio le prospettive di ripresa.


D’altra parte, era anche scritto nel primo Bollettino economico del 2021 diffuso a gennaio dalla Bce: nonostante le prospettive incoraggianti date dall’avvio delle vaccinazioni, la pandemia “continua a ingenerare gravi rischi per la salute pubblica e per le economie dell’area dell’euro e del resto del mondo”. Nell’area euro, la seconda ondata e l’intensificarsi delle misure di contenimento a partire da metà ottobre “dovrebbero determinare un nuovo calo significativo dell’attività nel quarto trimestre, sebbene in misura molto inferiore rispetto a quanto osservato nel secondo trimestre di quest’anno”.


L’Italia, insieme a Spagna, Francia e Slovacchia, registrerà nel 2021 i disavanzi “più elevati” nell’Eurozona con percentuali superiori al 7,5% del Pil, avverte ancora l’Eurotower. “In ragione della brusca contrazione dell’economia dell’area dell’euro, un orientamento di bilancio ambizioso e coordinato rimarrà essenziale fino a quando non si registrerà una ripresa duratura”.



E la Federal Reserve?

Anche Oltreoceano la Federal Reserve è convinta che il vaccino rappresenti una notizia positiva per i mercati finanziari e per l’economia statunitense. Ma l’incertezza resta elevata a causa dei contagi che continuano a porre “rischi significativi” per l’outlook economico. Insomma, il messaggio che è emerso dai verbali dell’incontro del 15 e 16 dicembre del Fomc non suona tanto diverso, nei toni e nei contenuti, da quanto si dice a Francoforte.


Ma veniamo ai fatti. La banca centrale statunitense ha iniziato il nuovo anno esattamente come ha concluso il vecchio: nella prima riunione del 2021, ha deciso di mantenere invariata sotto ogni punto di vista la politica monetaria, confermando quindi i tassi nel range 0-0,25% - dove rimarranno finché occupazione e inflazione non raggiungeranno i rispettivi obiettivi - e gli acquisti di titoli di Stato per 80 miliardi di dollari mensili e di asset-backed securities per 40 miliardi.


La Federal Reserve resta pronta a rivedere i suoi margini di manovra nel caso in cui venga a galla il rischio di non riuscire a centrare i suoi obiettivi sul lavoro, sull’inflazione e, in generale, sul contenimento degli effetti duraturi dell’epidemia. In ogni caso, il presidente Jerome Powell ha lasciato intendere di ritenere “prematura” ogni riflessione sui tempi e i modi dell’exit strategy dall’attuale fase di politica monetaria ultraespansiva.


Bce e Fed, ognuna per la sua area geografica di competenza, confermano dunque la disponibilità a fare tutto il possibile per ridare fiato all’economia. E anche guardando al prossimo futuro, le aspettative dei mercati sul comportamento delle banche centrali sono per un prolungato sostegno alla ripresa delle economie messe in ginocchio dalla crisi.



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