Arrivano i Piani Individuali di Risparmio: cosa c’è da sapere
Il 2017 ha portato con sé un’importante novità per il mondo degli investimenti in Italia: stiamo parlando dei PIR, acronimo di Piani Individuali di Risparmio, che sono diventati realtà grazie alla Legge di Bilancio 2017 approvata il 7 dicembre dello scorso anno.
Che cosa sono i PIR
Si tratta di un “contenitore fiscale”, che può assumere le vesti di fondi comuni di investimento, gestioni patrimoniali, dossier titoli e polizze assicurative. Destinati esclusivamente alle persone fisiche relativamente agli investimenti effettuati al di fuori dell’esercizio di impresa, i PIR hanno come caratteristica fondamentale quella di convogliare i risparmi degli investitori verso le piccole e medie imprese italiane (PMI), concedendo in cambio a chi li sottoscrive l’esenzione totale dalle imposte sui redditi generati dall’investimento stesso e dalla tassa di successione in caso di morte del sottoscrittore - a patto che vengano rispettate alcune condizioni. Per avere un’idea del risparmio, si pensi che i titoli di Stato emessi da Stati Sovrani (che rientrano nella White List) sono tassati al 12,5%, mentre agli altri strumenti finanziari non-PIR (conti correnti, conti deposito, fondi comuni, ETF, azioni, obbligazioni) si applica l’aliquota del 26%.
Come funzionano
Innanzitutto ciascun investitore può sottoscrivere un solo PIR e può investirvi al massimo 30.000 euro in ogni anno solare, per un limite complessivo di 150.000 euro in cinque anni. Affinché si possa beneficiare dell’agevolazione fiscale è necessario mantenere l’investimento per almeno 5 anni, un modo per incentivare il risparmio di medio-lungo termine e fornire nuovi capitali alle imprese italiane. Si può anche decidere di disinvestire prima, ma in questo caso bisognerà pagare tutte le imposte e gli interessi su quanto è dovuto ( mora), quindi il PIR diventerebbe un investimento normale.
Anche la composizione del portafoglio deve rispettare alcuni vincoli affinché lo strumento possa ottenere lo “status” di PIR:
- almeno il 70% del portafoglio deve essere investito in strumenti finanziari quotati di aziende italiane, oppure di aziende europee che siano saldamente radicate in Italia;
- almeno i 30% di quel 70% (quindi il 21% dell’investimento complessivo) deve essere investito in titoli di società che non facciano parte del FTSEMIB o di altri indici equivalenti; in questo modo il denaro degli investitori affluirà nelle casse delle PMI (per esempio quelle quotate all’AIM), che potranno così beneficiare di un canale di finanziamento alternativo a quello bancario;
- fino al 30% può invece essere investito liberamente, senza alcuna restrizione.
Riassumendo, i PIR rappresentano uno strumento interessante, che consente al cliente di investire nel medio-lungo termine sul mercato italiano, in particolare in quello delle piccole e medie imprese, beneficiando di una totale esenzione dalle imposte sui redditi generati dall’investimento e da quelle di successione. Esistono però alcuni aspetti a cui prestare attenzione, ed è bene esserne consapevoli.
Tanto per cominciare, un Pir, per la sua stessa natura, incorpora una buona dose di rischio Italia, quindi ha senso utilizzarlo in ottica di diversificazione del portafoglio, in dosi controllate, tenendo presente il proprio profilo di rischio. Inoltre non tutti i PIR sono uguali: è importante informarsi bene sul contenuto del “contenitore fiscale” e valutare le diverse possibilità presenti sul mercato.
Non va sottovalutato poi il capitolo costi: il vantaggio fiscale è un buon punto di partenza, ma conviene sempre accertarsi che le commissioni non si mangino l’intero beneficio. Affinché l’agevolazione fiscale abbia un suo peso, le commissioni dovrebbero attestarsi sugli stessi livelli di quelle applicate ai prodotti non PIR. Insomma, l’idea è interessante e le opportunità ci sono, ma la scelta va operata con attenzione: per questo motivo l’investimento in PIR mal si adatta al fai-da-te, soprattutto per un investitore inesperto, che farebbe bene a farsi consigliare da un professionista.