Banche centrali e sistema economico oltre le metafore
Si racconta che in una sera di fine anni Settanta, Tohru Iwatani, designer di Namco, società di software giapponese nel campo dei videogiochi, uscì con gli amici a mangiare una pizza, e subito dopo aver tagliato il primo spicchio ebbe una folgorazione: nel piatto aveva visto quello che sarebbe diventato il protagonista del suo prossimo videogioco, Pac-Man.
Anche se risale a 40 anni fa, questo gioco sembra la perfetta rappresentazione metaforica dell’attuale scenario economico mondiale, dove:
• il cerchio giallo rappresenta la crescita dell’economia e delle Borse, che puntano a mangiarsi più puntini possibile per crescere e superare il livello;
• i fantasmi sono i vari pericoli per la crescita, dalla recessione al rischio geopolitico fino alla crisi finanziaria, mutando al passaggio di ogni livello;
• i pallini giganti sono i bonus a cui il cerchio giallo ricorre quando si sente in grave difficoltà: rappresentano gli interventi delle banche centrali che – tagliando i tassi e/o immettendo nuova liquidità – neutralizzano il nemico.
Metafora dei tempi moderni
In realtà, se fino a 30 o 20 anni fa, l’epoca in cui Pac-Man spopolava, gli interventi erano limitati e circoscritti solo alle situazioni di grave pericolo, oggi questo interventismo è più frequente, con il rischio che gli interventi perdano quell’efficacia che finora hanno avuto.
“La Fed è pronta a immettere nei mercati tutta la liquidità necessaria, in appoggio al sistema economico e finanziario”
Questa è la preghiera laica che, dalla crisi del 1987, domata con grande abilità dal banchiere centrale USA fresco di nomina Alan Greenspan, si innalza a ogni crisi. La frase rappresenta una pietra miliare del tempo che stiamo vivendo, un tempo in cui le banche centrali hanno fatto “tutto il necessario” stendendo quella rete di protezione immaginaria che ha salvato il mercato dei capitali tenendolo in vita. Unica eccezione nel 2008, quando scelte di segno diverso culminarono nel fallimento di Lehman Brothers. Da quel giorno la rete di protezione è diventata preventiva: al primo focolaio di crisi subito arrivano i pompieri con idranti di liquidità, anche quando magari basterebbe un secchio d’acqua.
Quegli auspici che stupiscono
È per questo che stupiscono le richieste di maggiore interventismo da parte di personaggi illustri e competenti in materia. Come l’ex segretario al Tesoro USA ed eminente economista Larry Summers che, a giugno, ha dichiarato:
“Il migliore modo per assicurarsi contro una recessione o un rallentamento economico sarebbe che la Fed tagliasse i tassi di 50 centesimi in estate e, se necessario, di altri punti in autunno”.
Se è naturale che questi auspici circolino sui mercati tra gli operatori – che dell’espansione si nutrono per far lievitare i loro investimenti – stridono se a pronunciarli sono istituzioni o personalità che hanno come unica responsabilità la tutela e la preservazione del sistema. Sono auspici che stupiscono anche perché, nonostante i numerosi allarmi provenienti quotidianamente dai media, l’economia si trova in una fase espansiva, un ciclo record iniziato 10 anni fa e che sembra in grado di proseguire.
Perché intervenire con nuovi aiuti?
In passato le banche centrali avevano un ruolo importante ma discreto: dovevano mantenere in equilibrio il sistema, mitigare la crescita quando si impennava troppo e attutire le cadute in recessione cercando di renderle soft, permettendo al mercato, una volta guarito, di riprendere la crescita. Oggi sono protagoniste e, soprattutto, intervengono anche quando non sembra necessario. Alcune sembrano addirittura essersi superate per divenire parte attiva del sistema. Come la banca centrale svizzera, che alcuni operatori considerano un vero proprio hedge fund in quanto acquirente sul mercato non solo di obbligazioni ma anche di titoli azionari. O la banca centrale del Giappone che, dopo la sua esperienza pionieristica nello stampar denaro, oggi è alla disperata ricerca di rendimenti, arrivando a investire anche in ETF.
Dopo le misure messe in atto a partire dal 2009, la crescita è tornata anche prima del previsto, ma ancora non ha stimolato in pieno il ritorno dell’inflazione. E questo è solo uno dei motivi per cui il programma di stimoli ancora non è stato ritirato. Anzi: come dimostra l’ultima iniziativa del presidente della BCE Mario Draghi, tali stimoli vengono riproposti in forme blande o aggressive, a seconda dei casi.
Draghi porge il testimone agli Stati
Ma la vera ragione di questa fase espansiva che sembra prolungarsi quasi all’infinito la troviamo negli errori commessi durante la crisi del 1929, errori che comportarono il radicamento della deflazione e la degenerazione di una recessione in una catastrofica depressione. In un’intervista del 2009 l’ex numero uno della Fed Ben Bernanke li elenca con precisione:
• uno fu “lasciar contrarre l’offerta di moneta in modo molto acuto, i prezzi scesero, ci fu la deflazione, la politica monetaria in effetti diventò molto restrittiva”;
• il secondo errore fu che le autorità dell’epoca “non fecero alcun serio sforzo per impedire il fallimento di migliaia di banche, e quei fallimenti ebbero effetti terribili sul credito e sulla capacità dell’economia di risanarsi”.
La paura alla base degli stimoli, dunque, è più psicologica che connessa a dati reali. Ma gli effetti collaterali di questo eccesso stanno emergendo in modo più che evidente: il primo è sul mercato obbligazionario, dove ormai 14 trilioni di titoli di Stato mondiali hanno un rendimento negativo. Ciò ora rischia di condizionare l’obbligazionario societario, dove ormai più di una multinazionale offre ai sottoscrittori un rendimento negativo. In attesa di capire se gli Stati raccoglieranno l’invito di Draghi, che ha detto “è arrivato il momento che la politica fiscale assuma il controllo”, come può regolarsi chi investe? In queste fasi delicate, la diversificazione e il supporto di un professionista sono ancora più preziosi e importanti, per capire contesto, prospettive e aspettative ed evitare illusioni e spiacevoli delusioni.