
L’intervento a sorpresa di Mario Draghi
Rispetto ai 259 miliardi del 2017, i Non Performing Loans (NPL) ancora in carico alle banche italiane a fine 2018 risultavano in calo del 20%, a quota 206. I bilanci delle banche, a 10 anni dallo scoppio della grande crisi finanziaria, sono dunque in piena fase di pulizia. Quindi il futuro della nostra economia, che è legato a doppio filo alle dinamiche bancarie, ha davanti a sé orizzonti di gloria?
Molte incertezze sullo scenario economico
Probabilmente non ancora. Perché se da un lato si registra la diminuzione del carico di NPL che negli anni ha appesantito le nostre banche rendendole, rispetto ai competitor, sempre claudicanti, dall’altro l’economia italiana sembra avviata a tornare nelle secche della recessione. Certo, per ora solo tecnica: ma è una spia che si accende sul quadro di controllo.
Ecco allora che, se da una parte le banche stanno eliminando la spazzatura creditizia, dall’altra si profilano nuove sofferenze in arrivo: questo proprio perché, avviandoci verso una nuova fase di debolezza economica, con la fiducia che viene minata alle fondamenta, nuove imprese rischiano di non poter far fronte ai propri debiti bancari.
Immaginiamo le nostre banche come un veliero preso a cannonate dalla crisi e di conseguenza pieno di falle: in tutti questi anni i marinai si sono affannati prima a eliminare l’acqua imbarcata e poi a riparare i danni lasciati da ogni crisi. E ora vedono riaprirsi le stesse falle appena chiuse. Per tanti NPL che sono stati (s)venduti, tanti altri prestiti rischiano la stessa sorte: cioè, entrare in quel processo che li trasformerà prima in crediti deteriorati, poi inesigibili, fino allo status di sofferenze.
Italia, ancora un Paese bancocentrico
Nonostante le notevoli evoluzioni del mercato del credito, l’Italia è ancora un sistema principalmente bancocentrico, dove i destini di banche e imprese sono legati a doppio filo: se l’economia soffre, le imprese italiane entrano in crisi in un effetto domino che finisce per travolgere il sistema bancario che è, come abbiamo detto, ancora oggi il principale canale di finanziamento per lo sviluppo del nostro sistema imprenditoriale.
Dieci anni dopo la grande crisi finanziari del 2008, l’economia italiana non riesce ancora a uscire da questa situazione di impasse. Eppure, la grande crisi del credito mondiale – dovuta principalmente all’abuso della leva finanziaria, che ha fatto letteralmente lievitare le quotazioni dei titoli denominati “tossici”, tra i quali i mutui subprime – inizialmente non aveva per nulla toccato le banche italiane.
Addirittura, in quell’epoca di euforia finanziaria i nostri istituti erano considerati arretrati perché troppo prudenti nell’esporsi su quegli strumenti rischiosi. Se non proprio sani, quelli italiani erano meno malati rispetto a tutti gli altri istituti mondiali. Purtroppo, la politica non è stata efficace nel prevenire gli effetti della crisi, prima finanziaria e poi economica, che ha letteralmente travolto il nostro sistema.
Un “decennio perduto” tutto italiano
L’introduzione del bail-in è l’esempio più eclatante di questa mancata lungimiranza. Eppure, anche stavolta sarebbe bastato fare tesoro della storia. Nel dettaglio, di quanto avvenuto nel 1990 in Giappone, a Tokyo, quando lo scoppio di una bolla immobiliare gigantesca fece crollare prima l’indice di Borsa Nikkei e successivamente tutte le società immobiliari e bancarie del Sol Levante.
Il Giappone entrò in una lunga e severa recessione, nel periodo tra il 1991 e il 2001 si ritrovò a crescere a una media dello 0,72%, un crollo rispetto ai ritmi cui era abituato: +3% annuo dal 1973 al 1991, +8% dal 1955 al 1973. Quel periodo di stagnazione fu soprannominato il “decennio perduto”. E oggi il “decennio perduto” tocca al nostro Paese: è il periodo tra il 2008 e il 2018.
Ma una buona notizia c’è: recentemente il Wall Street Journal ha segnalato il risultato rispetto allo scorso anno della nostra Borsa nel primo trimestre 2019, una sovraperformance rispetto alle Borse europee e a Wall Street. La ragione, scrive il giornale americano, è riconducibile alle basse valutazioni raggiunte dai titoli azionari e alla fame di rendimenti dei grandi investitori – dai gestori finanziari ai fondi pensioni – che negli strumenti del made in Italy trovano soddisfazione.
E gli strumenti del made in Italy di questo appetito possono avvantaggiarsi, anche perché, rispetto al resto del mondo, già ampiamente riemerso dalla crisi, hanno molto terreno ancora da recuperare. L’importante ora è riuscire ad allontanare il fantasma della preoccupazione per una nuova recessione, che metterebbe in crisi prima di tutto il nostro sistema bancario.
L’eredità di Mario Draghi
Fortunatamente, dalla nostra parte, come un angelo custode, c’è il Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Nella riunione di inizio marzo, Draghi ha fatto l’annuncio che ha stupito molti per prontezza: proroga dei tassi zero fino, almeno, alla fine del 2019 (in precedenza il limite era l’estate) e avvio per settembre di un nuovo programma TLTRO, per agevolare l’erogazione di nuovi prestiti. Draghi ha quindi aperto una strada che andrà oltre il suo mandato, in scadenza a novembre.
Sono tutte mosse e strategie che hanno un obiettivo in particolare, ovvero quello di dare fiducia e sostegno agli investimenti. Il mercato azionario, da tutto questo, non potrà che trovare beneficio, e ogni situazione di calo – tenendo bene a mente le strategie messe in cantiere da Draghi – non saranno un campanello per la fuga, ma un’occasione per entrare a prezzi più convenienti. Anche per chi finora, erroneamente, era rimasto fuori. L’importante è, come sempre, attenersi alla regola aurea: diversificare.