20 gennaio 2019

Volatilità, tutto quello che occorre sapere

Pubblicato in: Vademecum

Il paziente va dal medico e dice: ho il colesterolo. Il medico gli risponde: il colesterolo non è un male in sé, è male se è alto (per la cronaca, sopra i 200). Allo stesso modo, a un investitore che si presentasse all’appuntamento con il suo consulente finanziario esprimendo preoccupazione per la volatilità – che da quasi un anno viene nuovamente citata con una certa frequenza nelle cronache finanziarie – il consulente dovrebbe spiegare che in sé la volatilità non è un problema: può diventarlo a volte, a determinate condizioni.

Meglio partire dalla definizione
All’investitore in apprensione, il consulente dovrebbe innanzitutto spiegare cos’è la volatilità. In sé, è un parametro che serve a dare un’idea generale del rischio insito in un titolo azionario, in un’emissione obbligazionaria, in un indice di Borsa, in un portafoglio d’investimento o comunque in uno strumento finanziario variamente inteso. Ma partiamo dall’inizio. Azioni, bond, indici e portafogli hanno una caratteristica in comune: tutti hanno un valore. Tale valore cambia nel tempo, e può variare più o meno bruscamente. Quanto più ampiamente e frequentemente tale variazione si discosta dal valore “medio” o di riferimento, tanto più l’azione, l’obbligazione, l’investimento in generale è volatile. Per dare un’idea: un rendimento medio annuo del 5% e una volatilità del 10% ci dicono che quello specifico investimento si è discostato dal suo rendimento medio del 5% con oscillazioni – al rialzo o al ribasso – del 10%. Più un investimento è volatile, maggiori sono i potenziali guadagni, ma anche le potenziali perdite. Ecco perché la volatilità è considerata una metrica di rischio: quanto più è elevata, tanto più grande è il rischio associato al singolo titolo, all’indice o al portafoglio nel suo complesso, e via dicendo.

Non c’è un solo modo per calcolarla
La volatilità si può calcolare in diversi modi, ciascuno pensato per darci informazioni diverse sul rischio dell’investimento. 

- La volatilità storica prende in esame un determinato arco di tempo passato
- La volatilità attesa ci dice quale potrebbe essere
- La volatilità futura, seppure con il margine di errore proprio delle stime.

Ma arriviamo al dunque: quando dobbiamo iniziare a preoccuparci? Per avere un’idea, di solito una volatilità annua del 3-4% è considerata bassa, mentre se supera il 15-20% possiamo legittimamente cominciare ad avere qualche turbamento. Attenzione però a non fare di questo un dogma assoluto e immutabile. Torniamo all’esempio iniziale, del paziente con il dottore: la regola generale ci dice che un essere umano, per mantenere le sue funzionalità, dovrebbe assumere 2.000 calorie al giorno; poi però, parlando con un professionista della salute, scopriamo che questo valore varia sensibilmente a seconda che si sia un uomo o una donna, un adulto o un bambino, un giovane o un anziano, una persona che fa sport o una particolarmente pigra e sedentaria. Lo stesso vale per la volatilità: ognuno ha la sua. Per esempio, la volatilità media delle obbligazioni, anche di quelle più rischiose, sarà comunque decisamente più contenuta di quella delle azioni.

A ogni asset class la sua volatilità
Ebbene sì, le azioni hanno una volatilità media più alta: basti pensare che la media storica di lungo periodo è del 20% circa, a fronte del 4% delle obbligazioni. E infatti sono più rischiose dei bond. Discorso ancora diverso se si va a indagare all’interno della galassia azionaria. La volatilità, infatti, muta a seconda dei singoli titoli: qui, molto dipende dalla loro liquidità e da quella del settore di riferimento. Di norma, poi, un indice azionario ha una volatilità media più bassa di quella di un singolo titolo, grazie all’apporto benefico della diversificazione. Dal che l’investitore può imparare una lezione preziosa: per ridurre la volatilità complessiva del portafoglio è bene ripartirlo in un numero adeguato di strumenti diversi e possibilmente decorrelati; in caso contrario – ossia se investiamo in un solo titolo azionario od obbligazionario – il nostro portafoglio sarà tanto volatile quanto lo è lo strumento in cui abbiamo investito. Infine, chiudendo la parentesi sulla diversificazione, merita una segnalazione il fatto che la volatilità varia anche da indice a indice: l’S&P 500, per esempio, presenta valori più bassi in confronto al Ftse Mib.

Una metrica che, da sola, non è sufficiente
In generale, è bene valutare il rischio di un investimento da diversi punti di vista, dato che la volatilità non è sufficiente da sola a fornirci tutte le informazioni necessarie. Per avere un quadro più completo occorre prendere in considerazione anche altre metriche di rischio, come il max drawdown e il VaR. Ma ci torneremo.


NOTA DI REDAZIONE : gli argomenti, le immagini e i grafici sono frutto di elaborazione interna.

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