20 novembre 2019

Strumenti attivi e passivi: quali sono le differenze?

Pubblicato in: Financial Advise

Sono trascorsi esattamente due anni da quando, nel suo rapporto “Asset & Wealth Management Revolution”, PwC condivise le sue previsioni sulle masse amministrate dall’industria del risparmio gestito, viste a 145,4 mila miliardi di dollari entro il 2025 dagli 85 mila miliardi del 2016. Ebbene, secondo le stime di PwC, entro il 2025 gli strumenti attivi e gli strumenti passivi conseguiranno la piena parità. Un interessante spunto di riflessione, che ci offre l’occasione di chiederci cosa sono gli strumenti attivi e in che cosa si caratterizzano invece quelli passivi. E, soprattutto, quali sono le differenze fra le due categorie.



Quando la gestione è attiva
Va precisato, per cominciare, che le etichette “attivo” e “passivo” si riferiscono al modo in cui un Organismo di Investimento Collettivo del Risparmio può essere gestito. Tipicamente, la gestione attiva punta a far ottenere al fondo una performance migliore di quella dell’indice di riferimento, detto anche “benchmark”. 

Come battere tale indice di riferimento? Il gestore attivo può scegliere titoli diversi rispetto a quelli contenuti nel paniere del benchmark, in base al cosiddetto “stock picking”, e/o esporsi diversamente ad aree geopolitiche, settori e altri fattori di mercato (Value, Small Cap e via dicendo), tramite l’asset allocation. Il gestore, quindi, non è affatto tenuto ad acquistare tutti i titoli dell’indice: al contrario, potrà tranquillamente comprare solo quelli che ritiene vedranno salire di più il loro valore o quelli che crede staccheranno i dividendi più interessanti. Ovviamente, tutto quanto sopra descritto comporta un importante lavoro di ricerca, analisi e selezione, oltre a un attento monitoraggio successivo.



Le caratteristiche della gestione passiva
La gestione passiva fa sì che il fondo acquisti tutti i titoli che compongono l’indice di riferimento, secondo le stesse quote, oppure, in alternativa, un campione rappresentativo.

Tra fondo e indice, in questo caso, c’è una piena corrispondenza, che viene mantenuta attraverso una serie di interventi di ribilanciamento, in base alle necessità. I più noti fondi passivi (detti anche “indicizzati”) sono gli Exchange Traded Funds (ETF), strumenti che puntano a replicare la performance di un indice di mercato specifico. L’ETF viene scambiato in Borsa, proprio come le azioni. Come si può intuire, contrariamente alla modalità attiva, questa gestione non comporta studi e ricerche finalizzati alla selezione dei titoli migliori: quel che occorre è un efficace modello di replica, affiancato e seguito da una altrettanto efficace attività di ribilanciamento.



Ricapitolando: le principali differenze
La gestione attiva funziona se è fondata sul lavoro di gestori capaci e competenti, cui spetta il non facile compito di andare a scovare le migliori opportunità d’investimento. Questi professionisti non lavorano da soli, ma si avvalgono di tutta una serie di altri esperti, per esempio analisti. In ogni caso, come detto, l’obiettivo è quello di individuare i titoli azionari che hanno le maggiori possibilità di sovraperformare: il che comporta un elevato impiego di risorse e un intenso lavoro di analisi. 

Al contrario, la gestione passiva non contempla un passaggio dedicato all’attenta selezione di alcuni titoli piuttosto di altri: e questo implica una minore attività di studio e ricerca e, di conseguenza, minori costi di gestione

Quale fra le due strategie di gestione è la migliore? Non c’è una risposta: ci sono soluzioni validissime sia fra i fondi a gestione attiva che tra quelli a gestione passiva. Quel che conta, per un investitore, è verificare attentamente i costi e il metodo di gestione offerto. Soltanto così può riuscire a stare alla larga dai fondi che si dicono “attivi” ma che in realtà non lo sono, limitandosi piuttosto a replicare il benchmark.


NOTA DI REDAZIONE: gli argomenti, le immagini e i grafici sono frutto di elaborazione interna.

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