18 marzo 2019

Dieci anni dal culmine della crisi globale: a che punto siamo?

Pubblicato in: Vademecum

Sono passati esattamente 10 anni dal momento più buio della crisi del 2008/2009: il 9 marzo 2009 i mercati mondiali toccavano il minimo storico, mentre il sistema finanziario globale vacillava dopo lo scoppio della bolla del credito culminata con il fallimento di Lehman Brothers.


I dati economici erano spaventosi: crollo della produzione industriale, caduta del PIL mondiale, disoccupazione in forte aumento e indici di Borsa che di giorno in giorno aggiornavano nuovi minimi. In un simile contesto, molti analisti temevano una nuova Grande Depressione, simile a quella del 1929, che però, a distanza di un decennio, possiamo dire non essersi verificata.


Come mai? In realtà le due grandi crisi globali – quella del 1929 e quella del 2009 – si sono differenziate tra loro per un aspetto fondamentale, forse inizialmente sottovalutato dagli osservatori: la reazione delle istituzioni. Nel periodo della Grande Depressione fu praticamente inesistente, mentre nel 2008/2009 c’è stato un intervento corale, che ha preso il via dall’epicentro della crisi, ovvero gli Stati Uniti.



La mano ferma del governo USA
L’allora segretario al Tesoro Henry Paulson ha infatti avviato la nazionalizzazione delle aziende più in difficoltà (Fannie Mae e Freddie Mac) e ha comprato quote di banche a rischio fallimento, erogando liquidità attraverso il braccio monetario della Fed, per riportare fiducia tra gli investitori e soprattutto per rendere fluida la circolazione dei capitali. Infine, ha riacquistato dalle banche parte di quei titoli tossici che avevano danneggiato molte società di investimento e industriali.
Tutto questo ha consentito di evitare un peggioramento della crisi, anche se non è bastato a tranquillizzare gli investitori che, presi dal panico, si sono chiusi in un atteggiamento ultradifensivo proprio quando tutto sui mercati era diventato più conveniente.



Il recupero dopo la crisi
Fatto sta che, dal minimo storico del 2009, tutte le Borse sono risalite: Piazza Affari, sebbene ancora fanalino di coda, segna un guadagno del 60%, mentre l’Euro Stoxx 60 ha recuperato oltre il 100% e Wall Street, epicentro della crisi, vanta un +300%.
Gli unici a non avere guadagnato sono quegli investitori e risparmiatori che per ragioni dettate dal panico hanno fatto scelte precipitose uscendo dai mercati e condannandosi così alla doppia beffa del consolidamento della perdita e del mancato guadagno.
Ma in questi 10 anni di mercato “toro” non sono mancati gli spauracchi di una nuova crisi: quello che si è sottovalutato è che dal 2009 in poi le banche centrali sono state ben attente a che non succedesse.
Per esempio, il deleveraging tanto temuto da molti analisti subito dopo la crisi – cioè la riduzione del livello di indebitamento dismettendo tutto il dismettibile, nel tentativo di “tirare i remi in barca” – c’è stato, ma è avvenuto in tempi molto più brevi rispetto alle previsioni, poiché la “digestione” della bolla speculativa è stata agevolata proprio dall’intervento decisivo delle banche centrali.



Il ruolo chiave delle autorità monetarie
Con il ritiro di parte dei titoli tossici da un lato e con l'immissione di grande liquidità dall'altro, le banche centrali hanno infatti permesso, a partire dal 2009, un deflusso più veloce delle “scorie” verso lo smaltimento.
Per questo oggi l'attenzione degli investitori è sempre focalizzata sul comportamento e sulle future mosse delle banche centrali: perché, più che l’aumento dei tassi di interesse, spaventa l’ipotesi di un veloce ritiro della liquidità dal mercato, visto che tale liquidità è di fatto il mezzo con cui è stato in questi anni possibile creare investimenti e guadagni.


Bisogna però tenere a mente che la procedura avverrà con prudenza – e le principali banche centrali a livello mondiale lo hanno fatto capire molto chiaramente – soprattutto se si presenteranno eventi negativi a livello geopolitico ed economico.


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