29 gennaio 2020

Multipli di Borsa, di che cosa si tratta

Pubblicato in: Financial Advise

I professionisti della finanza lo sanno: il metodo dei multipli è indubbiamente una delle tecniche più utilizzate per selezionare i titoli da mettere in portafoglio. Perché? Perché i multipli sono indicatori che permettono di cogliere al volo il potenziale di una società – e quindi dei suoi titoli azionari – in un determinato momento. Ma come spiegarlo a un investitore individuale che magari legge ogni giorno di multipli di Borsa sulle principali testate di economia e finanza senza però averne ancora un’idea precisa? Proviamo ad aiutarvi noi con questa breve guida.

 

Cosa sono i multipli?

I multipli di Borsa non sono altro che indicatori che mettono in rapporto tra loro alcune variabili riferite a un’azienda per coglierne velocemente il valore e riuscire a confrontarlo con quello di altre società concorrenti. Sostanzialmente, ci consentono di capire se un’azione è a buon mercato o se, al contrario, è troppo costosa, perché consentono di fare un paragone dei prezzi dei titoli con la media di mercato, con la media delle società dello stesso settore ed eventualmente con la media storica. Il multiplo, quindi, è un rapporto: come tale, ha un numeratore e un denominatore: il numeratore è generalmente il prezzo; il denominatore è il parametro tratto dal conto economico

Tra i multipli più importanti ci sono:
• il rapporto prezzo/utili,
• il rapporto prezzo/flussi di cassa,
• il rapporto prezzo/fatturato.

I multipli di prezzo sono i più utilizzati e consentono di capire rapidamente come il mercato considera la società e quale valore le attribuisce in un determinato momento. Ma, per maggiore chiarezza, andiamo a fare luce sui rapporti più importanti.

 

Ecco a voi il rapporto prezzo/utili per azione

Il P/E rappresenta il rapporto fra il prezzo corrente di un titolo azionario e l’utile per azione realizzato negli ultimi 12 mesi. Facciamo un esempio: prendiamo il caso di un’impresa con un utile di 10 milioni di euro, a fronte di 1 milione di azioni emesse. Abbiamo che il rapporto utile/azione (anche noto come earnings-per-share, o EPS) è pari a 10. Poniamo che la quotazione del titolo in Borsa sia a 20 euro: il rapporto tra prezzo e utile per azione è pari a 2. Nell’esempio che abbiamo fatto, il prezzo di Borsa è due volte l’utile per azione. Quindi, comprare le azioni di quella determinata società è conveniente o no? In linea di massima, più il P/E più basso e più conveniente è il titolo: ci sono i margini perché il suo valore di Borsa salga. Ovviamente, questa regola presenta molte eccezioni: le società con i tassi di crescita più alti (e che quindi sono più interessanti) presentano spesso rapporti elevati.  Per ovviare al problema, si possono utilizzare altri indicatori come il price/earnings-to-growth ratio, o PEG, ovvero il prezzo/utile normalizzato per il tasso atteso di crescita degli utili negli anni successivi.

 

Alla scoperta del rapporto prezzo/fatturato

Il price-to-sales ratio (P/S) è il rapporto tra capitalizzazione di Borsa e fatturato. Serve in sostanza a capire quante volte il mercato valuta il totale dei ricavi della società, secondo la procedura che abbiamo già visto per il P/E. Può rivelarsi un indicatore utile a cogliere il valore di quelle società che sono in fase di start-up e, come tali, non producono ancora utili.

 

Cosa dire del rapporto prezzo/flusso di cassa?

Il price-to-cash flow ratio (P/CF) è il rapporto tra capitalizzazione di Borsa e flusso di cassa, anche detto cash flow (ovvero la differenza tra tutte le entrate e le uscite monetarie di un’azienda). Cosa ci segnala? Ci segnala quante volte il mercato valuta i flussi di cassa monetari, secondo l’operazione vista prima in merito al P/E. Come sottolinea Borsa Italiana, generalmente viene utilizzato per valutare società “che operano in settori caratterizzati da considerevoli investimenti iniziali, e quindi da valori rilevanti di ammortamento”.

 

E poi c’è il rapporto prezzo/patrimonio netto

Il price-to-book value ratio (P/BV) è il rapporto tra capitalizzazione e patrimonio netto dell’azienda (che esprime la consistenza del patrimonio di proprietà dell’impresa): se è minore di 1, allora l’azienda è sottovalutata, dal momento che abbiamo una capitalizzazione di Borsa più bassa del patrimonio netto, peraltro senza considerare gli utili. Poiché questo multiplo si focalizza sul valore dei beni materiali e contabili, di questi tempi, dove una marea di società molto appetibili trae la sua forza da fattori assolutamente immateriali, non è il top se utilizzato da solo.

 

Ultimo, ma non per importanza, il rapporto dividendo/prezzo

Attenzione: qui bisogna cambiare numeratore e denominatore. Il primo è infatti il dividendo, mentre il denominatore è il valore di Borsa. Il dividend yield (DY) esprime il rapporto tra quanto un’azienda paga in dividendi ogni anno rispetto al prezzo delle sue azioni. Selezionare titoli con un elevato DY ha senso purché siano sottovalutati dal mercato oggi e, quindi, abbiano il potenziale per apprezzarsi un domani.


NOTA DI REDAZIONE: gli argomenti, le immagini e i grafici sono frutto di elaborazione interna.

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